Racconto di Sara Pusceddu

(Prima pubblicazione)

 

La ragazza si svegliò a mezza mattina, nel caldo ostinato di un Agosto già per metà vuoto. Sciabattò stordita fino al bagno. Dall’appartamento accanto, si sentiva il vicino scordare un vecchio violino con cui aveva litigato da anni. Dalla finestra aperta, l’asfalto emanava odore di ciuffi di erba secca, di terriccio e di piscio di cane. La ragazza eseguì lentamente i noti consueti riti mattutini. Allo specchio vide la solita faccia cosparsa di efelidi, i denti da coniglio e il corpo ossuto ma molle, mappa stradale di vene pulsanti sotto la pelle chiara di rossa. Eppure quel giorno, uno come tanti, nessuna ansia la attanagliava, nonostante le imminenti notizie che attendeva e le commissioni urgenti da svolgere quel giorno. Dopo la doccia diede uno sguardo alla bilancia, nulla di nuovo apparve sul display. Andò a vestirsi. I soliti sandali bassi, perché bassa non ci si era mai sentita, un vestito bianco non troppo corto né attillato. I capelli lunghi pettinati stretti dietro la nuca, il trucco leggero e gli occhiali da vista le davano l’aria di una segretaria. Afferrò di fretta, in ritardo come sempre, la borsa mettendoci dentro quanto serviva: il libro da rendere da tempo immemorabile alla biblioteca comunale, i documenti necessari e la rivista che stava leggendo. Le chiavi come sempre si erano nascoste nel caos, ma le trovò con le tecniche collaudate da tempo. Riuscì finalmente ad uscire di casa, per strada i bambini reclamavano una gita al mare dietro genitori che portavano sporte troppo pesanti di spesa e rimandavano a un futuribile domani le gite. Fortunatamente i bambini credono sempre nelle promesse che finiscono con la parola domani. Raggiunta la biblioteca, si scusò come le mille volte precedenti con la solita bibliotecaria, che le sorrise, pensando probabilmente che lei fosse un caso perso. Spesso l’aveva aiutata l’aria cortese e innocente, anche se cortese lo era di rado e innocente, quello sì, lo era ma di non aver mai rubato o ucciso, solo di quello. L’ufficio, quando vi arrivò, era già colmo. Si sedette in silenzio, in attesa del suo turno, a leggere la rivista. I discorsi tra estranei che si raccontano la vita, non le piaceva farli, ma li ascoltava con la goduria sorniona di chi non può fare a meno di essere sempre sarcastico. In quel momento la fece sorridere la gara verbale di due donne, che cercavano di dimostrare come la vita di una fosse stata peggiore di quella dell’altra. Si chiese quale potesse essere l’ambito premio in palio, non era ancora convinta che la sfortuna si portasse doni dietro. Ma capita spesso che le persone trovino un morboso piacere a dimostrare di eccellere, anche nelle disgrazie quotidiane. Arrivato il suo turno, ritirò la lettera e la mise in borsa, l’avrebbe letta la sera, con calma. La giornata non era poi così lunga, aveva voglia di una passeggiata e di un gelato alla frutta, era stata troppo tempo al chiuso. Cono fragola e tzatziki accompagnavano i suoi passi per la città vecchia. I belvedere, a ben vedere, non le procuravano la nostalgia sperata e ricercata con forza. Prima di tornare a casa diede alcune monete a uno dei tanti moderni Cristo che affollavano il centro, non era bontà, quel giorno non voleva essere disturbata semplicemente dalle solite richieste, tanto valeva mettere mano al portafoglio. Arrivata a casa, sazia del gelato e stanca per la camminata, si sdraiò sul divano addormentandosi a lungo d’un sonno immobile e senza immagini. Si svegliò nel tardo pomeriggio per prepararsi al grande evento. Le amiche avevano organizzato una festa per lei, al solito bar sulla spiaggia. Suonava la band degli Fools in the Garden, amici di tante feste in piscina. Tutti un po’ appesantiti, vedendosi scivolare gli anni non volevano rinunciare all’eterno stato di grazia in cui vivono i Peter Pan. Scorsero i soliti litri di alcolici, si dissero i racconti di sempre, quelli di oggi, quelli di ieri. Brindarono a lei, che perso il lavoro aveva almeno venduto la vecchia casa come nuda proprietà. Ora non aveva perso il tetto e aveva anche un ottimo gruzzolo da parte. La luna era più rossa che mai, la sabbia più umida e, nel bagno notturno, il mare più docile, quasi complice nel suo occhieggiare di stelle. Uscì intirizzita dall’acqua, non aveva portato il costume, ma tanto valeva, aveva fatto il bagno nella solita biancheria nera. Rubò un attimo un asciugamano a qualcuno del gruppo, che fumato come sempre, finito il concerto, le corse dietro. Quella sera no, aveva voglia di ritornare. Lui le disse “Oggi fai Cenerentola? Mica sono il Principe Azzurro.” Lei non si voltò, lasciò cadere l’asciugamano e alzò delicatamente il braccio, facendo spuntare il giusto dito dalla mano. Rispose ad alta voce: “Me ne ero accorta!” e se ne tornò a casa. Preparatasi per la notte, lesse la lettera, preparò il tavolo per la mattina dopo e andò a dormire. Dopo due giorni di mancate risposte al telefono, un’amica andò a bussare alla porta. Non aprì neppure ai Vigili del Fuoco. Entrando si sentiva odore di salsedine e il marcio dei fiori che le avevano regalato alla festa. La trovarono ancora addormentata come sarebbe rimasta per il resto del tempo a venire. Sul tavolo c’erano poche cose: la rivista delle pompe funebri, con gli articoli desiderati marcati con un evidenziatore rosa, un foglio con le indicazioni su come gestire il funerale e come reperire i soldi.
Lasciò solo un biglietto: “Il vestito è poggiato sulla sedia, è quello bianco. Lasciatemi i capelli sciolti e truccatemi bene, ma non troppo, per una volta voglio sembrare bella e pulita come una sposa. Stavolta potete regalarmi fiori”.

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