Racconto di Seton Kolb

(Terza pubblicazione – 12 giugno 2019)

 

Fine giugno inizi luglio, il periodo ideale per qualche giorno di riposo, specie se vuoi rimanere solo con te stesso.

Una giornata al mare in una caletta sconosciuta, quasi, in questo piccolo paesino a picco sul mare non invaso ancora dal turismo di massa, quasi.

Anche nei luoghi che ci piacciono di più, però, non tutte le ciambelle riescono con il buco.

Ogni tarda serata in un piccolo giardino pubblico a una quindicina di metri da dove risiedo momentaneamente, sono in compagnia di frasi che, se pronunciate da chi, da come e in quale situazione, assumono un significato sgradevole.

In ordine sparso:

<<Che cazzo vuoi>>

<<Vaffanculo tu e quella troia>>

<<Con quel cosino lì ci fai il brodino>>

(Suoneria di un telefonino) <<E adesso cosa vuole questa stronza civetta>>.

E ancora:

<<Sei ridicolo e senza coglioni>>

<<Mi hai rotto il cazzo>>

<<Tu non gli puoi fare neanche il bidè, perché non lo trovi>>.

<<Caapraaa>>

<<Pecorone scazzatooo>>

<<Dite tutte mi hai rotto il cazzo e non lo a_ve_teee, emmancoletetteeeeee>>.

E ancora, ancora e ancora, tutte le frasi non le ricordo ma comunque ci sarebbe molto da ripetersi …

Questo è ciò che accade da tre sere.

Anche questa volta, dopo cena, vado a stravaccarmi, non in vista, sul terrazzino fiorito, in compagnia dei miei pensieri e un po’ di tabacco. Immancabilmente, poco distante, c’è la riunione di otto, dieci, dodici ragazzini, qualcuno del luogo, altri, per turismo familiare provenienti da altre regioni, insomma, chi va e chi viene (dieci anni di media). La presenza delle femminucce, e si capisce anche dalle frasi, è preponderante; i maschietti soccombono, ma non per la percentuale inferiore, semplicemente perché il grado di sfrontatezza e velocità verbale delle prime li fa sembrare conigli presi dalle zampe posteriori e zac, un colpo secco dietro la nuca.

Poco fa, all’improvviso, ripetuto più volte, un coro tutto al femminile:

<< un due, tre e quattro, Marco senza cazzo, Marco senza cazzoo, Marco senza cazzooo >>, sembrava un’accozzaglia di piccole baccanti greche.

Ed è stato in quel frangente che è successo.

<<Iiiih oh, ih oh, ih hoooo …>>

Un raglio, quasi umano, micidiale. Sembrava il lamento di una vedova, il pianto di un povero cristo al quale avevano messo gli zebedei sotto una pressa e l’urlo angosciato, questa volta udibile, di Edvard Munch, tutti insieme… L’asino “risiede” in una piccola casa colonica con vista mare, distante solo una trentina di metri in linea d’aria, anche se per raggiungerla, bisogna scendere e risalire un ripido e lussureggiante avvallamento. Lo avevo “conosciuto” il primo giorno in una passeggiata esplorativa dei luoghi. C’eravamo scambiati un rapido sguardo, nulla di più e non avevo mai sentito le sue corde vocali. Non aveva mai opposto resistenza agli schiamazzi notturni e, forse, la sua pazienza era giunta al limite.

Non ho retto. Come potevo non schiattare fragorosamente a ridere…

…Silenzio.

Fuggi fuggi generale, solo qualche cicala nottambula, timidamente, ricominciava a frinire.

Il raglio disperato? La mia risata forse somigliante?

Non so dare una risposta.

Quello che so, è che domani il mio mare sarà calmo, avrò il mio sole, il mio scoglio, un libro e i miei pensieri.

Per ora sono ancora qui, tranquillo, accendo un’altra sigaretta …

Quando andrò via, tra qualche giorno, lo passerò a salutare.

Il ciuco.