Racconto di Nora Capomastro
(Prima pubblicazione – 24 febbraio 2019)
“Quando il dolore attanaglia l’uomo e lo ancora alla sua fragile condizione, quest’ultimo non riesce a sentire che questo.
Si può soccombere o, con fiducia, considerare il tutto come parte di un disegno in eterno divenire: troppo grande per i nostri limitati sensi umani, comprensibile solo non opponendo resistenza al suo fluire e divenendo parte di esso.”
La mano della fortuna è cieca e non fa distinzione nemmeno tra i più innocenti. Non era stata di certo clemente neanche con la piccola Ishiki che, improvvisamente, si ritrovò orfana a seguito di un tifone che spazzò via il suo villaggio.
Furono giorni di pianto, in cui si scavarono profonde crepe che segnarono il suo animo. Gli abitanti del paese più a monte, corsero in aiuto dei loro vicini e il caso decise che a prendersi cura di lei sarebbero stati i coniugi Shinkō, anziani mastri cartai.
Il loro laboratorio si trovava a pochi passi dal centro abitato, tra i gelsi kozo.
Adattarsi a quella nuova situazione fu molto difficile.
Si sentiva riempita d’amore, ma vi era sempre qualche pensiero che la trascinava come un peso, non permettendole di godere del dono del presente.
La saggia Hikaru le stava vicino senza invadenza, leggendo i suoi pensieri come se potessero parlare. Il suo cuore era incupito dalla preoccupazione per quell’anima in crescita, ma più forte era la fede.
Ishiki passava il suo tempo tra la scuola e l’aiutare nelle faccende domestiche.
Più volte sbirciava dietro le tende, mentre il vecchio Zen pressava i fogli aiutato dalla moglie.
La cura nel loro mestiere rispecchiava quella che avevano per gli altri.
Si perdeva per ore intere, tra i colori delle carte disposte ad essiccare, desiderando di averne una tutta per sé.
Giunse il giorno del suo decimo compleanno.
Di ritorno dal villaggio, ad attenderla trovò un bellissimo foglio di carta: era poco più grande di un fazzoletto, di un blu mai visto e con delle filature dorate. Sembrava un cielo stellato.
Abbracciò con gratitudine i due vecchi, che sorrisero bonariamente per esser riusciti a nascondere la piccola sorpresa in serbo per lei.
Quella gioia così spontanea fu altrettanto fugace: di nuovo l’immagine della perdita dei suoi cari, di nuovo l’abisso che mai si colma.
Certi vuoti che il passato lascia assomigliano a gorghi che tutto risucchiano, perfino gli attimi belli del presente.
Gli anziani Shinkō sapevano che questo avrebbe richiesto molto tempo e amore. Cenarono in silenzio. La compostezza dei gesti talora argina più che la parola.
L’indomani la piccola mise il foglio tra i quaderni di scuola. Voleva orgogliosamente mostrarlo ai suoi compagni ed uscì di casa in fretta, senza rendersi conto che di lì a poco sarebbe piovuto.
Al ritorno corse più velocemente che poté ma, una volta arrivata, pianse nel vedere quel regalo prezioso rovinato dall’acqua. Non disse nulla a nessuno, nemmeno a cena, sentendosi in colpa per aver peccato di vanità.
Così la notte, mentre tutti dormivano, lo stese vicino al camino, sperando che asciugasse presto per non essere scoperta.
Passata qualche ora, Hikaru si alzò e si diresse verso il focolare. Ishiki singhiozzava in lacrime. Aveva messo la carta troppo vicino al fuoco e alcune scintille l’avevano bruciacchiata e bucherellata in varie parti.
Abituata a capire senza troppe spiegazioni, la vecchia le asciugò il viso e prendendola per mano raccolse il foglio.
Si spostarono nella sala che dava ad Est e lì sedettero a lungo, in silenzio, per il tempo necessario.
L’anziana guardò maternamente la bambina e con delicatezza rara, quasi sfiorasse un’anima, iniziò a piegare il foglio malconcio.
<<Vedi, bambina mia: in origine siamo fogli lisci, perfetti, senza neanche una sgualcitura.
Poi veniamo piegati, aperti, chiusi, ribaltati. Ci riempiamo di solchi senza neanche sapere bene perché. Ogni piega cambia il nostro aspetto, lo plasma.>>
Prese un attimo fiato, fermando le mani e osservando le pieghe.
<<Non sempre è facile intravedere il risultato finale. Alcuni passaggi lo faranno sembrare vicino, come già davanti ai tuoi occhi. Poi, ad un tratto quel che penserai sia giusto per te, verrà stravolto e cambierà direzione, perché non è quello il tuo arrivo definitivo, non lo è mai. Passaggi in cui troppe pieghe renderanno tutto complicato e confuso e sarà necessario fermarsi. E tu ti ritroverai a dover prendere di nuovo confidenza con la carta. A dover di nuovo capire e imparare, a non opporre resistenza a questo, altrimenti ti strapperai. Ogni piega, ogni cambiamento, è necessario e modella quel che sarà una forma nuova. Ci vuole tempo, fatica e pazienza, ma poi…>>
Le sue parole si sospesero in un sorriso eloquente, mentre porgeva una piccola gru alla bambina.
<< Ma poi…la meraviglia.>> Completò Ishiki.
Era la prima volta che assisteva alla nascita di un origami. Mai avrebbe detto che dal suo foglio così rovinato potesse scaturire ancora bellezza.
Ormai era l’alba: la luce giocò tra i piccoli fori della carta, pareva un ricamo.
Un racconto molto bello e profondo. Complimenti.