Racconto di Eva Czerkl
(Prima pubblicazione)
Quella cosa che era il lui gli faceva paura…
Karel era un bambino che viveva in una città oltrefrontiera. Portava un caschetto di capelli color tramonto. La madre slovena suonava il pianoforte, il padre ceco era stato un famoso ballerino nel suo paese. Non ballava più da un pezzo il padre, sembra a causa del cuore.
Appena Karel fu in grado di adoperare le manine, la madre lo inchiodò al seggiolino del pianoforte. Appena fu in grado di correre e tirare calci alla palla, il padre lo mise sull’attenti e gli mostrò le cinque posizioni. Il piccolo credeva si trattasse di un gioco. Osservando quei piedini dal collo già bello arcuato, il padre decise che sarebbe diventato un ballerino. Il bambino suonava il pianoforte e il padre eseguiva i passi di danza; poi si scambiarono le parti. Unico spettatore un minuscolo cane dal pelo rossiccio di nome Folletto, che scodinzolava allegro. A Karel fu proibito il pallone perché rovina i piedi, ma lui ogni tanto scappava di nascosto al campo dietro casa.
Per desiderio del genitore, fu ammesso all’Accademia molto prima del tempo. Karel si sentiva infelice e solo; si vergognava anche, perché all’epoca era l’unico maschietto del corso. Quando correva al campo dietro casa gli amici lo pigliavano in giro, finché una volta scoprì che un altro terzino aveva preso il suo posto.
Il giorno del suo decimo compleanno annunciò che non voleva fare il ballerino ma il calciatore. Tutti fissarono quella figurina esile ma già ben tornita, e risero. Anche il padre rise, credendo che scherzasse.
Il fatto curioso è che il bambino, volendo o no, rivelava giorno dopo giorno una vera predisposizione per la danza. Dicevano che ce l’aveva nel sangue. Karel credeva si trattasse di una malattia. Gli faceva paura quella cosa che era in lui e che lo faceva girare e saltare come un folletto. Col tempo il suo salto divenne famoso. Si sollevava da terra superando le spalle e le teste degli altri allievi. Mancava solo che volasse.
Karel, alle soglie dell’adolescenza, ormai considerato più di una promessa.
E mentre le sue pirouettes aumentavano a vista d’occhio e i fouettés suscitavano la meraviglia fra i ballerini più avanzati, il ragazzo si sentiva sempre più infelice e solo. Nel suo modo di ballare non c’era la gioia della danza ma uno strano fuoco che lo trascinava come in un rito primitivo, mentre il cuore prendeva il ritmo di un tamburo. Le sue movenze allora si facevano esaltanti, a momenti fluide come le onde, a momenti impetuose come il vento. Tutta la sua persona si trasfigurava.
Quando non ballava, aveva l’aspetto più innocente e dimesso, più normale del mondo. Assomigliava tutto al bambino di una volta. Era solo più taciturno, quasi non parlava; e non aveva amici. L’unico compagno il fedele Folletto.
Il debutto di Karel avvenne all’età di sedici anni, al Teatro dell’Opera della sua città. In sala erano presenti autorità, parenti, critici e vicini. La fine del primo atto fu salutata da una vera ovazione. Molti della vecchia guardia erano pronti a giurare che il figlio avrebbe superato di gran lunga il padre.
Il secondo atto si apriva con un impetuoso assolo di Karel.
Entrò sfrecciando in un corto mantello, accolto da fragorosi applausi. Il suo tour en l’air fu perfetto, se non di più. Altrettanto fu tutto quello che seguì. Poi, ripresa la corsa, fece il giro del palco. Due volte fece il giro prima di fermarsi all’estremità. Di lì, immobile, fissò il pubblico.
Magia invisibile di un gesto, la mantellina scivola a terra. Un attimo dopo muoveva il primo passo, e un altro, una glissade ed eccolo infine spiccare il volo in un magnifico grand jeté.
A quel punto avvenne l’incredibile. Karel non tornò giù. Rimase sospeso in aria nella sua posizione. Non tornava giù. Nel petto del padre prese a battere un tamburo. La gente tutta in piedi, in attesa, in un silenzio di tomba; e fuori soffia il vento.
Poi Karel ricadde a terra, dove rimase privo di sensi. Per lo spavento il padre ebbe un attacco. Il cuore si sa è una brutta bestia, non perdona.
Il ragazzo stette male per un certo tempo. Sembrava avesse battuto la testa, benché gli esami non rivelarono nulla. Quando lasciò il letto, il padre era morto da pochi
giorni e la bestiola scomparsa chissà dove. Karel non fu mai più capace di ballare. Abbandonato anche dal suo folletto, povero Karel, a mezzo il volo, e senza un addio.
Nella città di Karel la gente parlò a lungo del prodigio del teatro, poi la gente dimenticò.
Karel è un vecchio che vive in una città oltrefrontiera. Fa il custode al Teatro dell’Opera. Anche lui ha dimenticato. La sera, prima di spegnere tutte le luci, si ferma nella grande sala delle prove e raccoglie qui una scarpetta, lì una calza. Punto.
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