Racconto di Enrico Strappetti

(Seconda pubblicazione)

 

«Appena si addormenta appendo il vestito fuori la serranda.»

«Quello rosso?»

«Sì. Quello che sembra una palandrana.»

«Sicura che non si sveglia?»

«Sicurissima. Gli metto venti gocce di EN nel Tavernello.»

«Dove ci vediamo?»

«Di sotto. Tanto il magazzino è chiuso con la saracinesca.»

Ogni volta che mi capita di finire in una tresca, tra SMS e Whatsapp, diventa tutto uno stress. Almeno stavolta starò al caldo, senza lo strascico di strade sterrate, boscaglie, e vecchi casolari abbandonati.

«Ma si può fare questa vita?» chiedo a Marta mentre ce ne stiamo seduti sotto il pergolato del bar.

«Sei tu che te le vai a cercare, ste’ smandrappate, amico mio» risponde, buttando giù il caffè. Sorride. È veramente bella quando lo fa, con un raggio di sole che filtra tra l’edera e le illumina una porzione del viso. Ma tanto io quando glielo dico.

«Questa poi, dice che le piace farlo con suo marito che dorme al piano di sopra» riprendo.

«Basta che poi non scende e ti tira due fucilate» dice Marta, passandosi un dito tra i riccioli ramati.

«E che dovrei fare, secondo te?» le chiedo, tracannando l’ultimo goccio di Guinness.

«Dovresti smettere di bere.»

«Intendevo in questa situazione» dico, grattandomi la testa.

«L’avevo capito, deficiente. Da quanto è che ti dico di trovarti una fidanzata?»

M’incasso nella schiena e comincio a tremare; poi la fisso negli occhi, così azzurri che mi uccidono. Vorrei dirle che mi piace ma tutto resta lì, sospeso, come in una bolla di sapone che rompi con il dito e poi svanisce.

«Se è tanto difficile lascia stare, Filippo. Adesso chiamala, però» dice, picchiettando con l’indice sullo smartphone messo di sbieco sul tavolo.

«Carla…? Sì, sono io. Sai quel vestito rosso? Lascialo stare nell’armadio».