Racconto di Rita Buccini
(Seconda pubblicazione – 22 luglio 2019)
Era tesa come un elastico maneggiato per gioco, distrattamente. Alternava la tensione con il rilassamento dovuto alla convinzione che alla fine una risposta l’avrebbe avuta. Poi tornava di nuovo in tensione quando affioravano gli spettri del dubbio e della paura. Era in attesa di un messaggio.
Internet e i vari social, i cellulari intelligenti e ogni loro applicazione avevano raggiunto quasi i confini dell’universo materiale conosciuto, ma non potevano mostrarti i pensieri altrui né i loro sentimenti. Quelle zone erano ancora libere.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per potere, anche solo un attimo, conoscere cosa pensava di lei.
Si conoscevano da un po’ e il sentimento che provava per lui non era emerso subito, era passato attraverso la griglia del “Figurati se mi piace!”
Infatti, mentre lo diceva a se stessa, sentiva una vocina di fondo che affermava il contrario “mi piace eccome invece!”
E per ogni difetto che voleva trovare in lui per difendersi dal sentimento, sapeva subito che c’era un pregio lì pronto a smontare tutti i muri che si era illusa di erigere. Alla fine aveva ceduto alla sua vocina interiore, al suo cuore, e aveva ammesso che lui non le era affatto indifferente.
Ed era lì, proprio in quel punto cruciale delle cose, che nasceva il problema che generava ansia e tensione: confessare ciò che provava. Tutta la paura veniva dal fatto che non sapeva cosa lui pensasse di lei.Non era detto che fosse la scelta giusta mostrare i propri sentimenti tuttavia che altro avrebbe potuto fare? Ciò che le premeva nel cuore dall’interno era un battito da donare, lo sentiva essere così, un qualcosa di vivo da prelevare con molta delicatezza per porgerlo alla persona che l’aveva generato dentro di lei. Era per mostrare che era possibile creare nuova vita dentro un cuore e che era importante condividerlo. Ecco perché alla fine, dopo molta riflessione, aveva deciso di parlare.
Aveva però così tanta paura di esprimersi a voce che aveva scelto una strada antica, gli aveva scritto una lunga lettera. Quindi eccoci arrivati al punto: era in attesa della risposta. Ovviamente lui, di solito di poche parole, se avesse risposto, lo avrebbe fatto tramite messaggio via cellulare. O l’avrebbe chiamata? L’avrebbe cercata dopo la sua lettera d’amore? O avrebbe riso fra sé e per non ferirla avrebbe cercato una scusa per allontanarla? O Forse sarebbe stato schietto e le avrebbe detto un secco no o un semplice sì? E se invece si fosse infastidito e avesse scelto comunque il silenzio? E a proposito di rimanere in silenzio, sarebbe stato senza parole per la felicità o per la confessione che non si aspettava?
Cercava di pensare vorticosamente per creare una sorta di salvagente mentale, un qualcosa già ricco di risposte, tra le più disparate, che potesse contemplare almeno una soluzione esatta sulla quale elaborare una strategia di reazione. Era da sempre abituata a pensare a tutto per non rimanere delusa e nuda in mezzo al nulla che talvolta la vita ti offre. Che c’era di male in questo modo di affrontare l’esistenza? Più di una volta le era stato di aiuto mettere in conto le cose e si era riparata almeno un po’ da una sonora delusione. Era un metodo valido. Ma quello che non voleva vedere bene era che, come metodo, aveva il rovescio della medaglia perché provocava ansia infinita.
Comunque il dado era tratto e la sorte si era messa in moto. Una qualche risposta ci sarebbe stata, che fosse positiva o negativa. Al di là di questo, però, restava il fatto che l’attesa del messaggio di risposta era il principale responsabile del suo stato di tensione.
Ogni suono del cellulare la faceva sobbalzare dentro, una specie di capriola del cuore, con la felicità di un sì tenuta al guinzaglio dal rifiuto. Sbattevano sulle pareti del cuore come palline e creavano un’eco che le faceva vedere quanto desiderasse una risposta.
Provò dunque a calmarsi, si sedette e prese in mano un libro nell’attesa del messaggio.
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