Racconto di Enrico Strappetti
(Terza pubblicazione)
Mary Aveva scostato la tenda e guardato fuori dalla finestra. Il suo respiro appannava il vetro: macchie opalescenti che si spandevano sulla superficie e poi si ritraevano ritmicamente. Fiocchi di neve scendevano copiosi già da una settimana. Le strade ne erano ricoperte, come i tetti delle auto, le panchine del parco, gli alberi. Tutta New York ne era ricoperta. Andò in cucina, aprì il frigo, e afferrò una bottiglia di vino bianco. Fece finta di non accorgersi del notes che le ricordava l’appuntamento dal dentista per il lunedì successivo. Odiava farsi mettere le mani in bocca da quel tipo. Pensava che ci stesse provando. Non era come quello carino e timido del piano di sotto, che però non si decideva mai. Come le sarebbe piaciuto camminare con lui mano nella mano in Central Park, quando in autunno si ammantava di foglie rossastre!
Dopo aver stappato la bottiglia si riempì un bicchiere e accese una sigaretta. Le boccate di fumo addensavano l’aria. Decise di aprire la finestra e il gelo di dicembre s’impadronì della stanza. Mancava poco a Natale, e durante le feste si sentiva più giù del solito; quando le succedeva, le piaceva starsene a letto, sotto una trapunta di lana blu che sua nonna le aveva regalato, carezzare il suo gatto persiano: Smoky, e guardare qualche film d’amore in bianco e nero alla TV. Quella, però, era una serata particolare, e aveva deciso di alzarsi, aumentare il consumo di vino fino a stordirsi, e quello di sigarette fino a riempire il posacenere.
Da qualche tempo le offerte di lavoro si erano diradate. Ormai le sceneggiatrici come lei erano superate. Da quando avevano inventato quel nuovo robot, il K16, bastava inserire scopiazzature di vecchi personaggi, prologhi, ambientazioni, trame, sottotrame, epiloghi, articoli di giornale, tra le pale di quella specie di frullatore elettronico, che rielaborava il tutto, per far uscire una storia nuova di zecca. Addio alla fantasia umana insomma!
Negli ultimi anni, stavano progettando droni per ogni tipo di funzione. Si sentiva inutile adesso, con quella matita in mano e il foglio bianco. Continuava a scrivere, ad ogni modo: pagine che nessuno avrebbe mai letto, abbozzi di personaggi e ambientazioni che nessuno avrebbe mai immaginato, e tantomeno girato.
Preferiva di gran lunga la carta al computer; la luce dello schermo le dava fastidio agli occhi. In più poteva scarabocchiare, fare annotazioni, frecce che rimandavano ad altre frasi e periodi, cancellare e vedere quella macchia grigiastra che restava impressa sulla pagina, come un marchio, e scacciare via con la mano, i riccioli di gomma che rimanevano sul foglio, soffiando poi sugli ultimi residui. Tutto alla vecchia maniera, proprio come da piccola, quando andava a scuola nel Queens.
Non voleva arrendersi all’idea che le storie si potessero prefabbricare; e avrebbe voluto avere davanti a sé quell’inventore da strapazzo per dirgliene quattro, prima di sbatterlo contro il muro. Magari quel tale era solo un’altra vittima dell’ingranaggio cui era stato commissionato il lavoro, ma con qualcuno doveva pur prendersela.
Harvey Ross si chiamava. Così dicevano i giornali. Harvey: che razza di nome era mai quello! Si diceva.
Era sempre stata energica, fin da ragazzina, per non soccombere ai tre fratelli maschi e agli altri bulli del quartiere, con i quali era cresciuta.
Ma quella sera lo sconforto la stava vincendo. Salì la rampa di scale che separava il suo abbaino dalla terrazza, aprì una porticina bianca, percorse malferma il mattonato, le braccia ciondolanti, reggendo ancora a stento la bottiglia di vino, e si affacciò sul parapetto.
Cosa avrebbe fatto d’ora in avanti? Servito ai tavoli, farcito panini, venduto cianfrusaglie, pulito uffici, o qualsiasi altra cosa per cui non era nata? Pensò che la sua vita fosse finita. Voleva buttarsi di sotto. Un bel volo di dieci piani e finiva spiaccicata come una mosca. Fine della storia
Poi qualcosa la frenò. Raccolse il suo dolore e cercò di convogliarlo nella gola, poi lo spinse fuori con tutta la forza che aveva, e fece udire a tutto l’isolato, la sua voce di donna ferita:
“Ehi tu, Harvey Ross. Dovunque tu sia. Stai mandando in malora la mia vita! Che Dio maledica te, e le tue invenzioni!
Si sentiva appagata finalmente. Poteva rientrare e mettersi a letto. Domani, con la mente più lucida, avrebbe pensato al da farsi.
In un angolo, tre barboni in piedi intorno a un bidone, si sfregavano le mani vicino a un fuoco di fortuna; voltarono la testa nella sua direzione. Subito dopo la riabbassarono. Uno di loro, rivolto agli altri due, tamburellò con il dito su una tempia, proprio sotto l’orlo del cappello di lana. Lo stesso fece una vecchia che saliva affannata gli scalini della chiesa. Stasera pregherò anche per quella povera anima lassù… Si disse.
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