Racconto di Annalisa De Carolis
(Seconda pubblicazione – 13 settembre 2019)
Quella sera non aveva connotati naturali né freschezza né umidità; Clarissa camminava verso il pub, poi decise di entrare nel parco. Le persone che avrebbe incontrato al pub sarebbero state poco più che ombre per lei, erano sempre le stesse e non ce n’era alcuna per cui nutrisse interesse.
Camminava svelta ascoltando distrattamente le voci di gruppetti di gente intorno, con lo sguardo dritto avanti a sé che scorreva su tutto senza afferrare nulla. Non si sentiva in alcun modo, né triste né felice, percepiva solo un’estrema inquietudine. Certamente rifletteva sulla propria solitudine ma in maniera distaccata, obiettiva e per questo non le si produceva alcun senso di auto compatimento. Proseguendo su quella strada sarebbe arrivata a quella che un tempo era stata la proprietà della nonna paterna.
Erano passati decenni da quando bambina giocava lì, ma quel luogo, nonostante tutti i cambiamenti che aveva subito, adesso come allora le faceva sempre lo stesso effetto: un misto di paura e desolazione. Esplorò con sincerità il suo animo per un secondo e cambiò strada dirigendosi verso le rovine dell’antico castello, salì i gradini larghi e bassi che ad esso conducevano, impegnando i passi per non perdere equilibrio sui sassi. Ecco la panchina di legno sotto al Gingko, dove si fermò.
Per un attimo ricordò quando lì aveva aspettato il ragazzo di cui era innamorata e come una valanga arrivò la delusione di cui era corredato il pensiero di lui, per come erano andate le cose tra loro. Allontanò quel ricordo e altri innumerevoli che come guizzi incalzavano la sua mente, appose un muro tra quei guizzi e la sua attenzione e allora la sua presenza emerse. Non se ne era accorta prima ma a pochi passi da lei, sulla panchina di fronte alla sua, c’era qualcuno. Seduto sul bordo dello schienale, con il cappuccio della giacca sulla testa, un giovane uomo la guardava attentamente. In quel silenzio si sentiva il respiro di Clarissa che aveva camminato fino ad allora. Lei riabbassò lo sguardo. Lui no. Clarissa, con la sua sciarpa bianca appariva luminosa nella penombra dei lampioni. Quando si sentiva osservata si innervosiva, invece quella volta provò un po’ di timore. Ma forse era sempre così: si innervosiva perché in fondo aveva timore, timore di essere giudicata. Nella mente di Clarissa passò il pensiero di essere sola lì con un uomo sconosciuto, di notte e in un posto abbastanza isolato, il timore era collegato a quel pensiero stavolta.
Lui si alzò e si avvicinò a lei. Le disse:” scusami, hai visto un cane bianco venendo qui? Ho perso il mio cane, è un’ora che lo cerco ma non riesco a trovarlo”. Lei lo guardò cercando di capire se fosse realmente così o se fosse una scusa per parlarle. Rispose di no. Lui ringraziò e andò via. Lei rimase per un attimo svuotata di tutto, come se con lui fosse andato via il suo stesso spirito. Clarissa si alzò per tornare a casa. Ridiscese i gradoni, e quasi cadde quando un cane bianco improvvisamente le si intrufolò in mezzo ai piedi scodinzolando.
Ma questa non è una storia d’amore, né una storia, questa è la descrizione di un attimo. Le esistenze di Clarissa e di quell’uomo si sfiorarono ma finì lì, pur trovandosi non avrebbero scoperto che si stavano cercando. Lei tornata a casa indagò minuziosamente la tristezza che stava facendosi spazio nel suo animo. Ma come abbiamo detto prima, questa non è neanche una storia e pertanto non ci è dato di sapere ulteriormente di Clarissa Il racconto vira. Cos’è un attimo nell’oceano di una vita? Nel roteare infinito del tempo? Non è forse riduttivo snocciolare un attimo dalla sequenza che vede il suo prima e il suo dopo?
Ma se i battiti del cuore sono tutti importanti allo stesso modo e neanche una sola alba del sole ha meno rilevanza delle altre, baluginano oltre questo piano di realtà, scintille di esso, alcuni attimi_ Simboli_ Forme vive di significato?
Ma cosa c’entrano allora Clarissa? Il pub, il parco, la casa della nonna, il castello, lo sconosciuto, il timore, il cane, la solitudine? Sono solo le tracce delle nostre comuni unicità. Le impressioni profonde nascono qui. Segni indelebili impressi a fuoco dentro di noi come su pietra E accesi oltre questo buio, dentro il buio più grande. Simboli. È qui che vira e si ferma il racconto Dentro la luce rovente di un attimo eterno. La scintilla si manifestò di notte ma non meno avrebbe brillato di giorno. Lui si abbassò mentre correva sulle scale e afferrò il cane. Incrociò lo sguardo di Clarissa. Iniziò a piovere mentre si allontanava. Lei non ebbe tempo di realizzare.
Al bivio lui aveva imboccato la strada a sinistra verso la desolata casa della nonna. La perdita del sonno è rimuovere dalla propria vista i simboli Per non ricordare E rimandare così il dolore penetrante come uno sguardo, un attimo eterno, un simbolo di ciò che vive oltre noi. La mente è una sentinella che lotta per dimenticare.
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