Racconto di Iliana Comina

(Seconda pubblicazione)

 

Suona il telefono, sono le 2.44 del mattino.

“Pronto?”

“Buona sera parlo con il signor Delacroix?”

“Si sono io, che succede?”

“Signore suo padre è stato ricoverato d’urgenza all’ospedale di Feltre, faccia presto.”

Rimango seduto con le gambe fuori dal letto e un’emicrania che mi rende stupido, il vecchio se ne sta andando… Non lo vedo da almeno 15 anni, Clarissa sarà in viaggio come al solito, se hanno chiamato me non ha proprio più nessuno.

Non sono arrivato in tempo, ma credo non avessimo molto da dirci, abbiamo cesellato per anni solidissimi silenzi. Devo andare a sgomberare il suo appartamento, la mia cara sorella come al solito non può fare niente di niente.

“Mi spiace Gabriel sii gentile, sarò fuori per tutto il mese e ho già dato disposizioni per i fiori e la cremazione, almeno alla casa pensaci tu.”

Non le ho neanche risposto, non si risponde al denaro, si contrattacca con altro denaro ma io non ne ho, almeno non quanto lei.

La casa è un rustico piantato ai margini di un paesino sperduto del bellunese, il posto è carino, ma il clima è terribile. Pioggia e freddo quasi tutto l’anno, come potesse vivere qui non me lo spiego, è praticamente vuota, poco cibo, qualche vestito, sedie spaiate e stoviglie degli anni 70…eppure i soldi li aveva, ne ha fatti per tutta la vita, alla fine forse gli sono venuti a noia, come i suoi figli. Non era un padre assente, era attento con noi, ma come un’istitutrice. Siamo cresciuti sani, forti e ben educati, ma chi fosse mio padre… per me rimane un mistero.

Apro una delle porte scoprendo una strana stanza. Su una parete è fissato un vero e proprio albero, sezionato a metà, una grossa poltrona graffiata e un divano con molte coperte. Sui muri imbiancati da poco di un bel verde salvia passerelle e ponti sospesi con disimpegni di forma cubica. Cosa diavolo ci faceva con questa roba?

Giro intorno alla poltrona e lo vedo. Un grosso gatto strambo mi fissa, ha la testa un po’ schiacciata da un lato, si incammina verso di me con andatura incerta, tutta questa roba è sicuramente per lui. Il vecchio non ha mai amato gli animali, cosa gli è successo?

Ho incaricato l’impresa di pulizie di rassettare tutto e fare imbiancare, tutta la roba della stanza del gatto andrà in discarica e quanto a quel coso metterò un annuncio, qualcuno se lo prenderà.

Pia illusione.

La casa è sistemata ma nessuno si è fatto avanti per il gatto, che è pure brutto. Ho scoperto che i gatti adulti non li vuole nessuno, tutti cercano cuccioli carini, nessuno si prende un coso vecchio e magari scorbutico è naturale.

La signora delle pulizie gli ha dato da mangiare per quasi una settimana, ma ora me ne devo proprio liberare, provo con una associazione del posto ma pare non si riesca a sistemare subito. Non posso abbandonarlo per strada non sono così incivile.

Lo metto in uno scatolone con un po’ di altra roba e non fa una piega, bene, Padova arriviamo!

Il gatto ha vomitato nello scatolone, l’odore che c’è in macchina mi fa venire voglia di aprire lo sportello e farlo volare fuori ma devo resistere, sarà un viaggio lungo, un misto di rabbia e amarezza mi invade.

Il vecchio non mi ha lasciato nemmeno un biglietto, non ho trovato una cartolina o un vecchio augurio mai spedito, eppure spendeva un sacco di tempo e attenzioni per quel coso peloso vomitoso…

A Padova la mia blindata routine e il lavoro mi hanno rimesso a posto, faccio colazione, concludo affari e vado a correre la sera, l’aria comincia a profumare di estate ma qualcosa ancora mi ammorba…Il pensiero del gatto. Passa tutto il giorno sotto i mobili e mangia poco, sto ancora cercando qualcuno che se lo prenda.

Stasera abbiamo concluso con quelli della Futuremix, sono tornato piuttosto tardi ma ne è valsa la pena, la prossima estate la passerò a Dubai!

Entrato in casa l’ho trovato disteso sotto una finestra, respirava a fatica, la ciotola ancora piena. Non riesco a toccarlo, un misto di angoscia e paura mi inchioda i piedi al pavimento. Rimango a guardarlo per dei minuti.

E’ il trillo del messaggio di Tania a darmi una svegliata.

Sei a casa? Passo da te e mi fermo a dormire ti va?

La chiamo immediatamente.

“Tu hai un gatto, vero?”

“Gabriel stai bene? Ti sento agitato.”

“Non hai un gatto col pelo lungo? Dove lo porti quando sta male?”

Lo avvolgo in un asciugamano e corro verso la clinica, lui se ne è andato senza salutare nessuno, ma non voglio essere io a far morire l’ultima anima che lo ha visto vivo, non lo sopporterei.

Alla clinica mi fanno un sacco di domande ma non so rispondere a nessuna, né quanti anni ha né se è malato o se mangia o cosa mangia, continuo a dire che il gatto era di mio padre. I loro sguardi indagano dentro la mia vita, forse si chiedono che razza di figlio sono visto che non so niente di niente.

E forse hanno ragione, ma se lo avessero conosciuto non si stupirebbero poi molto.

Non sapevamo mai nulla di lui, ci aveva educato al massimo riserbo, tanto che non so quali fossero le sue passioni e nemmeno il suo colore preferito, so solo che alla fine dei suoi giorni ha preso un gatto, una cosa imprevista e imprevedibile, una creatura a cui non ho prestato attenzione, come facevo con lui, come lui ci aveva insegnato a fare.

Dopo un paio d’ore la veterinaria viene verso di me sorridendo.

“Se la caverà, è diabetico ed è andato in chetoacidosi, è stato fortunato se avesse aspettato di più sarebbe morto”.

La guardo come venisse da Marte “I gatti hanno il diabete?”

“Possono averlo, si ammalano come noi, siamo tutti animali sa?”

Mi rendo conto che ho fatto la figura dell’ignorante insensibile, ma d’altronde cosa aspettarsi da uno che non sa nulla nemmeno del padre?

Mi alzo in piedi e la ringrazio pensando – e ora? Come faccio?

Mi spiega che il diabete si controlla con il cibo e l’insulina, come per noi, dovrò fargli delle iniezioni e tutto andrà bene, lo terranno per la notte e potrò riprenderlo domani.

Mi chiede chi è il suo veterinario e ovviamente è una cosa che guarda caso non so, solo una in più della lunga lista.

Tornando a casa ripenso a tutta la faccenda, non riesco neanche a tirarlo fuori da sotto i mobili come posso fargli delle iniezioni? E come faceva il vecchio alla sua età? Eppure doveva farlo…

La mattina dopo mi sveglio con un senso d’urgenza, devo risolvere questa cosa, chiamo in ufficio e chiedo una settimana di permesso.

Faccio una piccola valigia, passo a prendere il gatto che ha un’aria decisamente più sana, la dottoressa mi dice di contattare il veterinario che lo ha in cura perché le abitudini di vita che aveva sono importanti, bisogna tranquillizzarlo e fargli riprendere la routine a cui era abituato.

Parto verso Feltre pensando alla roba che ho portato in discarica, mi sento in colpa, gli ho strappato un intero habitat, come fanno le grandi aziende che distruggono ecosistemi. Nella mia piccola frettolosa ignoranza ho devastato il suo portandolo a un passo dalla morte.

Ho comprato un trasportino e il gatto sembra apprezzare, non ha vomitato ed è rimasto tranquillo sulla sua coperta, come potesse rispondermi gli chiedo “Ma a che ora devi fare questa iniezione lo sai gatto?”

Mi pare di sentire rumore di fusa…

“Ora lo chiediamo al tuo veterinario e vedi di non morire, abbiamo già dato ti pare?”

Allo studio incontro Eleonora, è piuttosto giovane, un bel sorriso e una figura esile, pare una ragazzina ma sa il fatto suo.

“Mi spiace per suo padre era una persona molto dolce.”

Alzo il sopracciglio…” dolce? Il vecchio?”

Mi guarda un po’ stranita ma passa oltre aprendo il trasportino, il gatto è in pieno concerto di fusa, pare un altro animale e io mi sento un vero incapace. La veterinaria lo prende in braccio e lo visita.

“Vede, i gatti sono animali molto abitudinari, capisco che sia difficile ripristinare il suo ambiente in un’altra casa. Suo padre poi aveva una venerazione per lui, gli aveva costruito un vero castello, vero Platone?”

“Platone? Si chiama così?”

Eleonora mi guarda sorridendo, “Non lo sapeva?”

Mi lascio cadere su una seggiolina troppo piccola per me, ormai cedo ad ogni imbarazzo e le confesso tutto. “Non so nulla del gatto e non so nulla di mio padre, ho distrutto qualsiasi cosa avesse in casa che mi sembrava inutile”.

Platone salta giù dal tavolo e viene verso di me strusciandosi per consolarmi, Eleonora mi stringe piano una spalla.

“Suo padre era una cara persona, lei è suo figlio, non sarà molto diverso. Gli animali aiutano le persone a fare pace con sé stesse, si faccia aiutare da Platone, datevi una possibilità”.

Quel momento mi ha cambiato.

Platone mi ha insegnato ad osservare ed avere pazienza, ho scoperto che mio padre in questo piccolo paese si era fatto tanti amici, una vita tutta sua di cui non ci ha parlato per discrezione. Voleva vivessimo la nostra senza che lui potesse diventare un peso per via dell’età.

Quasi tutti i suoi amici hanno animali che li hanno aiutati a superare molte cose, dolori profondi, solitudine. Platone ha trovato mio padre, avevano bisogno uno dell’altro, prendersene cura lo ha aiutato a fare amicizia con i paesani, frequentando l’ambulatorio di Eleonora.

Ha scoperto solo in tarda età la sua abilità nella custodia e cura degli animali, cosa che sto scoprendo anche io solo ora. Ci accomuna questa cosa che abbiamo ignorato tutta la vita.

Gli animali e i loro amici umani mi hanno restituito mio padre, la sua memoria e la persona buona che era. Io e Eleonora ci vediamo spesso, penso di esserne perdutamente innamorato, a volte ospito i gatti che non hanno una casa o sono malati.

Li osservo, cerco di capire chi sono destinati a salvare con il loro affetto, che sia un bambino o una signora troppo riservata, in qualche modo me lo comunicano e io cerco l’anima giusta per la loro missione.

Eleonora dice che è questo il vero dono che mi ha lasciato mio padre.