Racconto di Ilaria Tedesco
Illustrazione di Diego Bendele
(Prima pubblicazione)
A otto anni mio figlio non legge.
Imparerà, penserete voi. E magari la matematica torna più utile. Forse, ma non per me.
Luca sa leggere, certo. Ma quando prende un libro in mano, chiede per quanti minuti deve farlo. Una spina nel fianco fastidiosa e infida come l’inizio di appendicite operato tre anni fa.
Ha iniziato l’anno scolastico in modo promettente. Grazie a un simpatico espediente del maestro, una pallina da infilare in un fil di ferro per ogni dieci pagine lette, è arrivato alle feste di Natale con un lungo Bruco Maisazio appeso allo zaino. Dopo le cose si sono complicate: senza la larva da imbastire, ha ricominciato a leggere avviando il cronometro, con la faccia afflitta.
Eppure Luca ama i libri. Sin da piccolo io e suo padre gliene leggevamo in continuazione. È sfiancante persino il ricordo: prima della nanna, appena sveglio, poi ancora per convincerlo a sedersi sul vasino. Non uscivo mai senza un tascabile. Sfogliava di tutto: tomi illustrati, fumetti, dépliant pubblicitari, giornaletti della farmacia.
Continua a farlo. Sfoglia. Un fastidio quotidiano che ultimamente va a braccetto con un’altra mia preoccupazione: la gestazione elefantiaca del mio, di libro.
Dopo mesi di tentativi, sto messa peggio che all’inizio. Il groviglio di mezze idee somiglia sempre di più all’ammasso di cavi senza capo né coda che fingo di aver dimenticato nell’ultimo cassetto della scrivania.
Quello che ho sono una scadenza e un file pieno di paragrafi monchi alla deriva nelle acque caraibiche del mio Desktop. Il primo giorno si è autoproclamato Document1, e così è rimasto. L’ansia e la vergogna mi fanno assalgono ogni volta che lo apro. Non è la storia a farmi arenare, quanto la struttura. Non riesco a trovarne una convincente per un libro polifonico, drammatico, ironico. Qualunque pezzo scriva mi sembra invece lineare, asciutto, didascalico: una scrittura senza colore.
Attribuisco la mia impasse al fatto di non aver letto abbastanza e mi getto così nella libreria e rendendo il mio modesto ufficio – la metà di una stanza che condivido con l’area giochi dei bambini – un caos infernale. Sembra che una scolaresca campeggi in una biblioteca.
In pomeriggio piovoso come tanti, quelli che hanno ammazzato qualsiasi entusiasmo mattutino, Luca fa i compiti sul tappeto dandomi le spalle mentre cerco sullo scaffale la mia copia di 1984.
“Se fossi Orwell non avrei questi problemi” penso sfogliando distrattamente quelle pagine alla ricerca di non so cosa. Trovo però un ritaglio di un fiore, regalatomi da Luca anni fa. Mi giro a guardarlo, sorprendendomi di come sia dolce il passato nel ricordo. Vedendo di sbieco come affronta con entusiasmo la colorazione di pezzi di quadrati e torte, mi passa tutta la tenerezza. Abbandono a malincuore Orwell sopra la tastiera e inizio a prendere dalla sua libreria volumi a casaccio.
Luca chiude di colpo il suo libro.
“Che c’è?”, chiede spalancando gli occhioni e mettendosi con le gambe incrociate.
“Oggi hai letto?” domando impilando a fatica i libri tra cavalli e Lego sparsi sul tavolino.
“Non ancora.”
Ripone poi il pastello nell’astuccio.
“Se in un anno leggi tanti libri quanto sei alto, ti faccio un regalo”.
Lo so, esagero.
“All’inizio o alla fine dell’anno?”, risponde con la domanda irritante che non ti aspetti.
Inspiro ed espiro rumorosamente appellandomi alla mia pazienza Gran Riserva.
“Non mi serve un regalo per leggere,” continua Luca.
“E allora perché non lo fai?”, incalzo con la voce stridula intravedendo uno spiraglio.
“Io leggo. Solo non qua.”
Non ho il tempo di rispondere che Mila, mia figlia più piccola, entra nella stanza.
“Vieni a giocare?”, chiede al fratello.
“Deve prima leggere”, borbotto fissando il monitor con l’impazienza di reimmergermi nelle mie afflizioni letterarie.
Sono anche io poco convita, mannaggia a me.
“Luca, vieni?”, continua mia figlia torturando la maniglia della porta.
Mi ignora da quando le ho vietato il lettone la notte. I suoi risvegli notturni maciullano una notte sì e una no il poco riposo della mia anima.
“Vado di là,” dice Luca guardandomi. “Così qui hai silenzio.”
Scivola via dalla stanza mentre continuo sentirmi impotente, disarmata.
Anche questa volta vince lui.
“Solo non qua”.
Quelle tre ultime parole mi si conficcano nella testa. Sposto lo sguardo via dal monitor. Per forza non legge qua, guarda che casino. Ritorna il senso di colpa, questa volta è quello di madre incapace di offrire alla famiglia una biblioteca da casa di campagna inglese.
Decido di mettere a posto, tanto anche oggi non l’ho convinto a leggere e non ho prodotto niente di significativo nel mio Document1. Inizio con i volumi nella parte bassa della libreria, sembra di giocare a Tetris coi libri. Intravedo un foglietto sul tappeto, sarà caduto a Luca.
La curiosità ci mette un attimo a scalciare le faccende seccanti. Lo prendo e mi accorgo che sono tanti pezzetti di carta spillati assieme, poco più grandi di un post-it.
Dopo la prima pagina bianca, trovo un cielo stellato e tanti alberi che incombono su “Cera una volta”. Sfoglio e vedo un paio di case come al limitare del bosco, e dopo ci sono le stesse case e un omino con un cappello a cono e una barba bianca fuori dalla porta. Un drago si fa strada tra gli alberi sputando fuoco.
I disegni finiscono lì, con il mago che sembra protegge le case dall’attacco della creatura incendiaria; le nuvolette della loro conversazione sono però vuote.
Chissà cosa si stanno per dire, quei due.
Un caldo mi avvolge e arriva alle guance. Sistemo in fretta i foglietti sotto il tappeto e ritorno al computer con un sorriso sulle labbra.
E così mio figlio scrive. Non legge ma scrive. E lo fa qua.
All’una di notte mi sveglia il solito grido di Mila. Con qualche gomitata provo a sollecitare mio marito ma niente da fare. Gli uomini hanno questa irritante capacità di dormire in ogni circostanza.
Con le palpebre pesanti cerco a tentoni gli occhiali sul comodino mentre la casa riprende a essere stranamente silenziosa.
Forse Mila si è riaddormentata. Mi rimetto giù, convincendomi a farlo anche io, e mi intrappolo tra le lenzuola. Macché. Gli occhi si sbarrano e, rassegnata, vado a controllare.
Una striscia sottile di luce esce dalla camera dei bambini riflettendosi sul muro del corridoio. Dalla porta socchiusa, vedo che entrambi sono nel letto di Mila che regge una torcia mentre Luca gesticola a bassa voce.
Racconta del potente mago Merlino che ha sconfitto il drago Fanfir con un cucchiaio di sciroppo per la tosse. Il fuoco che ora esce dalla sua bocca si è ridotto alla fiamma di una candela.
“E poi cosa fa il drago?”, sussurra eccitata Mila.
“Questo lo scrivo domani. Ma te lo racconto solo se ora dormi.”
Vedo Luca darle un bacio sulla fronte e spostare le lenzuola per uscire dal letto. Mi allontano di riflesso dalla porta.
“E non chiamare più mamma,” aggiunge. “Domani deve scrivere qualcosa di importantissimo e. se è stanca, fa confusione.”
Mi premo la mano sulla bocca per soffocare un sussulto. E io che penso che non fa mai caso a quello che gli succede intorno.
Mi rimetto a letto con uno strano friccico allo stomaco. Forse è così che si sentono i bambini quando rubano i segreti.
“Posso dirti qualcosa del mio nuovo libro?” chiedo a Luca dopo qualche giorno.
“Allora lo hai scritto?” risponde masticando a bocca piena.
Dalla luce dei suoi occhi capisco che non posso deluderlo.
“Forse.”
Luca appoggia la mela sul tavolo e inizia a guardarmi tutt’orecchi.
Dopo il racconto, mi dice che la mia protagonista dovrebbe vivere in una casa con giardino, avere un cane parlante ed essere più simpatica con le persone. L’aereo poi deve decollare di notte durante un temporale. In più, se c’è un mago è meglio.
Mi balza in testa un’idea, veloce come un pescetto che acchiappa una zanzara nello stagno. Gli propongo di metterci a spulciare tutti i libri con le storie di maghi. Mi sento in colpa a pensare che sia anche l’occasione di fare un po’ di ordine.
“Così cerco qualcosa anche per il mio mago!” esclama saltando dalla sedia.
“Quale mago?”, chiedo mimando un’espressione sorpresa.
Realizza di avermi detto qualcosa che voleva tenere per sé. Poi aggiunge: “Lo saprai quando avrò finito.”
Passiamo così il pomeriggio tra i libri. Di colpo la stanza non mi sembra più una baraonda infernale ma il covo di pirati che raccontano le loro avventure attraversando i sette mari.
Mi accorgo che Luca legge con sicurezza e velocità. Allora lo fa per davvero.
Qualche giorno dopo mi regala il suo libro. Merlino ha portato Fanfir in città e lo ha iscritto in palestra dove può giocare assieme ad altri draghi senza sputare fuoco.
Se il mago è riuscito ad ammansirlo, magari posso anche io provare a domare la mia bestia nera.
La sera stessa apro il file e rileggo tutto d’un fiato quello che ho scritto mettendo da parte quello che mi sembra buono. Do anche al documento un nome dignitoso. E visto che ci sono, cambio pure la foto del mio Desktop che magari tutto questo mare mi ha annacquato la testa. Scelgo il Dorsorugoso norvegese e metto tra le sue fauci il nuovo file Word.
Riga dopo riga, mi sembra di raccontare una nuova storia. Arrivata la scadenza, mi accorgo di essere persino riuscita a infilarci un mago.
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