Racconto di Maria Lorello
(Prima pubblicazione)
Ugo, il tarlo, si era insediato da tempo immemorabile nel salone principale della biblioteca comunale. Ogni notte faceva indigestione del legno pregiato degli scaffali producendo un caratteristico ticchettio. Poi, quando era sazio, andava a dare una sbirciatina alla carta stampata e, data la sua dimestichezza con i libri, si vantava di possedere una cultura immensa.
Era da poco passata la mezzanotte, quando il nostro amico Ugo fu accecato da una luce improvvisa.
-Aiuto! C’è un ladro! Chiamate il 118! No, il 113! Uffa! Chiamate qualcuno!-
– Ma che ladro e ladro! – lo apostrofò sprezzante un volume dell’enciclopedia universale Treccani.
– Non è la torcia di un ladro! È semplicemente un lampo! Hai proprio una grande cultura!-
Ugo si ricordò con rammarico che, ahimè, si era tenuto un po’ troppo lontano dai testi scientifici, preferendo romanzi d’amore e d’avventura.
Gli bruciava tremendamente di essere stato colto in fallo e, per la vergogna, smise di ticchettare.
Nel salone principale della biblioteca piombò allora il silenzio più totale, ma per poco.
Un leggero sussurrio, quasi impercettibile ad orecchio umano, si levò dagli scaffali.
I libri della biblioteca, tutti in piedi, allineati e messi rigorosamente in ordine sui ripiani, si lamentavano della loro condizione di reclusi: potevano varcare la porta della biblioteca soltanto se qualcuno li chiedeva in prestito.
Quando ciò succedeva, per loro era un giorno di festa! Che emozione! Ogni volta un’avventura diversa! Ogni volta una casa diversa! Ogni volta mani diverse!
Purtroppo, da un po’ di tempo a questa parte, erano pochi i giorni di festa, ormai!
– L’altro giorno mi ha preso un ragazzino delle medie e sono andato con lui sulle montagne russe: ho temuto di sfracellarmi al suolo- si lamentava il Visconte dimezzato.
– Mi ha portato anche allo stadio, ai giardini, in bagno ma mi teneva sempre chiuso! E un giorno ha detto a un compagno che non voleva perdere il suo tempo con me e che non capiva perché mi chiamassero “dimezzato”-.
-Che ignorante! Se mi leggesse, lo saprebbe il perché – sbuffò il Visconte.
Sullo scaffale di fronte gli fece eco Dorian Gray, arrabbiatissimo perché i giovani di oggi guardano alla bellezza esteriore più di quanto non avesse fatto lui.
– Se mi leggessero per davvero, e non solamente per fare la relazione a scuola, saprebbero come sono fallaci le lusinghe della bellezza del corpo!-
– E allora cosa devo dire io?- sibilò Mr Hyde- (il dr Jekill se ne stava zitto zitto, in disparte).
– L’altro giorno una giovinetta delle Superiori, dopo avermi letto tutto di un fiato, ha sospirato:
“Che bel libro! Peccato dover fare quella noiosissima scheda di analisi!”
A quel punto i Promessi Sposi scagliarono i loro improperi secenteschi (non qui riferibili!) contro tutta la classe docente.
– Sono peggio della peste! – camminava su e giù, imprecando, Renzo.
-I ragazzi ci odiano più di quanto noi odiassimo don Rodrigo- si lamentava Lucia. La sposa promessa se ne stava col capo chino accanto a lui e, si riprometteva di andare a confessarsi da padre Cristoforo, per le parolacce che le erano scappate di bocca (in realtà, le aveva solo pensate!).
A quel punto, Dante avanzò torvo verso il centro del salone. Voleva mettere tutti i prof. all’inferno, perché, per colpa loro, i ragazzi odiano ferocemente la sua Commedia.
– E che dire, poi, dei chiosatori? Sì, qualche volta c’indovinano, ma … lasciamo perdere… sarebbe meglio buttarli tutti in Arno! E quei poveri studenti a sorbirsi il chiarimento di Tizio e l’esatto contrario di Caio…!-
-Ma perché ci detestano tanto? – si chiedeva la dolce Silvia, dagli occhi ridenti e fuggitivi.
-Il sacrificio della patria nostra è consumato!- tuonava in disparte Jacopo Ortis, non sapendo quanto fosse stato indovino.
-Fatela finita di piangere -li rimproverò Ulisse.
-Fatti non foste a viver come bruti, ma…-
– E che vorresti fare? – lo interruppe Dante.
– Nominatemi vostro ambasciatore e… andrò in delegazione da tutti i prof!
-Chi ha parlato di professori?- chiese un distinto signore in abito scuro.
-E tu chi sei? – lo interrogarono tutti in coro.
–Madames e monsieurs, me voilà: io sono il vostro salvatore!-
Ulisse lo squadrò con diffidenza.
-Qual è la tua isola? -gli domandò a bruciapelo.
–Monsieur, pardon, je ne viens pas da un’ isola! Io vengo dalla grande Paris!-
-Ho girato in lungo e in largo tutto il Mediterraneo, ma codesta Paris non me la ricordo, anche se tu dici che è grande!- commentò scettico il re di Itaca.
-Non hai ancora detto come ti chiami – continuò Ulisse, sempre più diffidente – e poi, fuori il piano!
-Monsieur, io mi chiamo Pennac e conosco un insegnante che nel suo liceo di Parigi è riuscito a non far odiare i libri.
-Miracolo!- urlarono tutti in coro.
-Ma come ha fatto?-
–Très facile! Lui, appena entra in classe, tira fuori dalla sua borsa un libro e comincia a leggere ad alta voce e così senza chiedere nulla, un po’ alla volta, i ragazzi si appassionano alla lettura – .
– Per tutti gli dei dell’Olimpo, questo professore è più astuto di me! Stanotte andrò da tutti i professori e, con l’aiuto di Minerva, entrerò nei loro sogni e dirò loro che devono seguire il suo esempio!
Ulisse prese i calzari di Mercurio e promise di ritornare prima dell’alba.
Volò per tutta l’Italia, isole comprese, e si fece intendere da tutti, proprio da tutti. Dopo solo tre ore, tornò nella biblioteca e annunciò trionfante che la missione si era conclusa con successo.
Augurandosi che Ulisse fosse davvero riuscito a convincere tutti i prof. italici a cambiare strategia, i libri si appisolarono beati, con la speranza di essere presi in prestito con maggiore frequenza, ma soprattutto di essere amati.
Lontani dalla biblioteca, avrebbero preso vita, parlando a qualcuno e creando emozioni. Poi sarebbero ritornati sullo scaffale a fare una dormitina e a ricevere ogni notte la visita di Ugo, il tarlo.
Era l’alba ormai e, dopo una notte movimentata, nel salone della biblioteca il silenzio era totale o quasi. Si sentiva soltanto il leggero ticchettio di Ugo che scandiva le ore.
Alle otto in punto il custode aprì la porta del salone e girò lo sguardo tutt’intorno. Ogni cosa era al suo posto e lui sorrise soddisfatto. Sì, era proprio una bella biblioteca quella, ma un momento!
– Che ci fa qui sul tavolo l’Odissea? – si chiese sbigottito.
-Che sbadato! Ieri mi sarò scordato di rimetterla al suo posto! Si vede che sto diventando vecchio!-borbottò l’anziano custode e, con passi strascicati, si avviò per andare ad aprire al pubblico.
-Ma che cos’è questo vocio?- si domandò sconcertato.
Il suo stupore, però, fu ancora più grande quando una fiumana di ragazzi e ragazze si riversò nella biblioteca. Il custode non aveva mai visto, in quasi quarant’anni di servizio, un affollamento tale e sorrise beato.
-Deve essere successo qualcosa, stanotte! -disse convinto.
Poi andò ad accendere tutti i computer che davano accesso ai cataloghi e lasciò il campo libero agli altri impiegati. Stava per cominciare un’altra giornata e nessuno seppe (e né saprà mai) che notte movimentata era stata quella!
Solo Ugo era stato il testimone di quella missione segreta e non va di certo a dirlo in giro, tanto meno ai prof e alle prof di tutta la penisola. Dormiva beato e sognava montagne di libri a cui dare una sbirciatina ogni tanto, anche ai testi scientifici… non si sa mai!
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https://www.ibs.it/verso-dove-viaggio-oltre-morte-libro-maria-lorello/e/9788898625314
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