Racconto di Maria Scerrato
(Prima pubblicazione)
La fermata è vicino al bar di Checco, proprio al bivio con la strada che sale su per la montagna.
Mentre Mauro, l’autista, fa scendere i bambini, appoggio la testa al finestrino e guardo fuori. La neve è ammucchiata sul ciglio, in cumuli candidi, appena sporcati dal fango schizzato dalle auto.
Il cielo è grigio e quasi non si vede nulla.
I miei compagni si tuffano giù per la scaletta, tra le braccia delle mamme che li aspettano. Sotto i cappottini imbottiti spiccano i grembiuli azzurri e sulle spalle gli zainetti con i personaggi dei cartoni animati. Li potrei riconoscere solo da quelli e dire il nome del proprietario senza nemmeno guardarlo in faccia.
Anch’io ho il mio zaino speciale, con l’Uomo Ragno. Ho fatto impazzire la zia perché me lo comprasse. A Barrea non ce l’aveva nessuna cartoleria e nessun supermercato. «Possibile che non si trova uno zaino che ti piace? Quest’anno hanno tutti o quello degli Avengers o dei Pokemon. Guarda che bei colori! Prendilo con le rotelle così non lo devi nemmeno mettere a spalla.»
Ha cercato di convincermi ma io ho tenuto duro.
Non è una questione di colori, di moda e nemmeno di praticità. Io voglio lo zainetto del mio eroe preferito e non uno come i miei compagni.
Alla fine me lo ha preso su Amazon ma ha brontolato che non riusciva a capire il mio capriccio.
Come si fa a spiegare alla zia cos’è l’Uomo ragno? Lei pensa subito ai fumetti, al film.
Per me è una cosa importante, è un mito. Io e lui ci somigliamo in tante cose: nemmeno lui ha la mamma e vive con gli zii e poi gli vanno tutte le cose storte, proprio come a me. E nessuno a scuola lo considera e neanche a me va tanto meglio.
Però Peter Parker ce l’ha fatta. È diventato un supereroe, uno che aiuta gli altri e vince sempre, nonostante tutto.
Io so che posso essere come lui. Mi basterebbe un morso del ragno giusto per trasformarmi!
Il pulmino riparte e restiamo solo in due. Io sono l’ultimo. Abito proprio su in cima alla montagna, un altro chilometro e mezzo di tornanti che l’autista percorre con infinita cautela.
La bambina che scende prima di me si chiama Marinella, ha un viso paffuto con le lentiggini e gli occhi verdi. In genere porta le codine ma, quando scioglie i capelli, sono rossi proprio come quelli di Mary Jane. È simpatica e sorride sempre. Quando sale sul pulmino e siamo solo io e lei, mi saluta sempre «Buongiorno Robertino, come stai oggi?» e quando scendiamo si abbassa verso di me e mi dice ciao, proprio nell’orecchio.
Magari uno di questi giorni le dico se si vuole sedere nel posto vicino a me. Dovrei solo trovare il coraggio.
Qualche volta nel giardino della scuola, cerco di avvicinarmi ma lei sta sempre insieme alle amiche e non è facile andare nella parte riservata alle ragazze. I compagni mi prenderebbero in giro. Così continuo a giocare la partitella nel campetto e a dare calci al pallone con forza perché penso che sono un imbranato.
Canticchio la canzoncina: Uomo ragno, uomo ragno, fama e ricchezza lui le trascura, l’azione è la sua ricompensa.
Ehhhh l’azione!
«Mi sa che io sto come “Hanno ucciso l’uomo ragno, chi sia stato non si sa!” Sono proprio un poveraccio!
Ohhh ma che succede? Il pulmino sta sbandando. Marinella strilla come un’aquila. Mamma mia, ma che succede a Mauro? Mauro, Mauro? Così finiamo di sotto.
È un attimo. Con un salto arrivo vicino al guidatore. È accasciato sul sedile. Mi siedo su di lui e con i miei piedi pigio i suoi sui pedali della frizione e del freno e tiro il freno a mano. Il pulmino si ferma. Mauro ha capito cosa è successo ma è ancora intontito dal malore.
Gli prendo il cellulare dalla tasca. Glielo metto davanti al viso per il riconoscimento facciale.
Meno male, funziona. Chiamo il 112. L’operatore mi fa ripetere due volte cosa è successo. Manderanno l’ambulanza. Chiamo anche la zia perché un po’ ho paura.
Mentre aspettiamo che arrivi qualcuno, Marinella mi dice se può tenermi la mano perché anche lei trema.
«Ci hai salvato, dice piano, se non c’eri tu saremmo caduti di sotto.»
«Si ma adesso pensiamo a Mauro.»
L’autista respira a fatica. Lo spostiamo dal sedile e riusciamo a metterlo per terra sul pavimento. Gli sbottono la divisa e gli slaccio la cinta dei pantaloni.»
Il respiro è affannoso.
Pochi minuti e arrivano la zia e la mamma di Marinella. Lei è infermiera, prende il defibrillatore dallo scuolabus e lo adopera su Mauro. La zia ci fa scendere. Intanto arriva l’ambulanza e i paramedici vanno a prendere Mauro con la barella.
Marinella ancora mi stringe la mano e mi guarda.
« Il pulmino sbandava ma tu sei stato in gamba. L’hai fermato subito e hai salvato pure Mauro.»
Mauro coperto da un lenzuolo termico e con la maschera dell’ossigeno ci saluta con la mano e sparisce dentro l’ambulanza.
La mamma di Marinella ci raggiunge.
«State bene bambini? Cosa è successo?»
Marinella riprende fiato e le racconta in tre secondi tutta la scena.
«E bravo Robertino! – dice la zia – Lo sai che hai salvato la vita a Mauro? E anche a voi due. Chissà che poteva succedere!»
Marinella mi abbraccia e mi bacia. «Grazie Robertino. Sei un eroe!»
Nella mia mente risuona la canzoncina: Spider Spider Man. Ecco arriva Spider Man!
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