Racconto di Adele Múrino

(Terza pubblicazione)

 

Avevo acquistato quel piccolo hotel tra i monti perché dotato di una piscina a forma di cuore con acqua limpidissima. Era lontano dal centro abitato, sul bordo di una scogliera a precipizio sul mare e quando c’era burrasca, onde gigantesche schiaffeggiavano rumorosamente la roccia. Un viale lastricato girava attorno all’edificio in stile liberty, proseguiva dritto e finiva davanti ad una costruzione bassa con le pareti di vetro smerigliato. Era una serra confinante dove un giardiniere si prendeva cura delle sue piante. Ve ne erano di tutte le forme, custodite all’interno di quel bozzolo caldo dove l’umidità la faceva da padrone. Il vapore acqueo galleggiava dappertutto e gli abiti ti si incollavano addosso. Il caldo era asfissiante e l’ambiente era permeato da un odore pungente e dolciastro di fiori esotici. Si faceva fatica a guardare fuori perché le vetrate erano sempre appannate dall’aria satura di umidità. Era quello l’ambiente adatto alle numerose piante tropicali della zona tra cui spiccavano delle orchidee giganti. Mi muovevo con difficoltà nella mia sedia a rotelle, faticavo ad avanzare cercando di districarmi tra il fogliame che mi circondava come fossi in una giungla. Respiravo a fatica ma avevo voluto entrare lì dentro per rendermi conto del luogo. Nonostante le piante fossero in buona salute, in quel posto si respirava odore di morte. Ovunque volgessi lo sguardo intravedevo fiori di un rosso cupo. Sembravano grosse vesciche piene di sangue pronte ad esplodere tra il fogliame verde brillante. Gocce di acqua trasparente colavano dappertutto impregnando anche i miei vestiti. Mentre aspettavo con ansia l’arrivo della mia nuova badante, mi aggiravo nella serra guardandomi intorno alla ricerca di un fiore esotico raro. Non badavo a spese, ero uno stravagante ma depresso miliardario e potevo permettermelo. Potevo avere tutto ciò che desideravo: di desideri ne avevo tanti, di ogni genere, e li realizzavo grazie al mio immenso patrimonio. Prima della nuova badante, ne avevo assunto altre per avere compagnia e assistenza in ogni momento del giorno e della notte. Poi, però, una dopo l’altra, erano andate via. Questa sarebbe stata l’ultima di una lunga lista di nomi che archiviavo sul computer e aggiornavo di tanto in tanto. Tutte rigorosamente giovani, bionde, occhi verdi, infermiere diplomate nelle migliori scuole. Finalmente, dopo lunghe ricerche, trovai il mio fiore. Scarlatto, con piccoli puntini neri sulla corolla a forma di imbuto. Lasciai al giardiniere il compito di preparare il cadeau e mi avviai nella hall dell’albergo. La ragazza era appena arrivata e notai che mi aspettava in piedi con le mani giunte dietro la schiena. Non sorrideva affatto come tutte quelle precedenti. Mi disse il suo nome, Agnes, e mi porse una busta con le sue referenze. Dopo averle donato il fiore, le chiesi di accompagnarmi a fare un giro nel parco dell’hotel. Mi ringraziò con un cenno del capo senza troppe smancerie. Durante la passeggiata, approfittai per impartirle alcune istruzioni circa le mie abitudini e lei prese nota di tutto. Nonostante fossi un tipo molto esigente, la ragazza mi sembrò disponibile e concentrata sulle mie richieste. Le altre che l’avevano preceduta, al contrario, avevano accettato quel lavoro forse solo per concedersi una vacanza in posti di lusso e rimboccarmi ogni tanto la copertina sulle ginocchia. A lei, invece, sembrava stesse a cuore il mio benessere e mi ascoltava senza riempirmi le orecchie con finte blandizie. Arrivammo al bordo della piscina a forma di cuore e notai che le brillarono gli occhi. La invitai ad immergersi nell’acqua cristallina mentre io mi sarei riposato sotto l’ombrellone. Rifiutò con garbo e mi propose di immergerci assieme. L’idea mi terrorizzava considerato il mio stato di salute. Per me, l’impossibilità di muovere gli arti inferiori era un ostacolo insuperabile. Non so come ma riuscì a convincermi e dopo poco mi trovai anch’io immerso nell’acqua. Fu una sensazione meravigliosa. Da quel giorno quello divenne uno dei miei svaghi preferiti. Agnes si dimostrava sempre più attenta e desiderosa di rendermi felice. Era diversa dalle altre e pian piano tra di noi si instaurò un legame molto stretto. Potevo sperare finalmente di avere anch’io un briciolo di felicità. Quando un giorno le chiesi all’improvviso di sposarmi lei sgranò gli occhi. Sembrava titubante ma poi alla fine accettò. Provai un tuffo al cuore. Quel piccolo hotel divenne il nostro nido in attesa di trasferirci in una delle mie residenze. Tutto andava a meraviglia. Accanto ad Agnes avevo dimenticato le delusioni passate a elemosinare affetto e i fantasmi non mi tormentavano più. Erano sepolti per sempre. Giorno dopo giorno sentivo dentro di me crescere una forza nuova che mi spingeva a osare sempre di più. In certi momenti arrivai addirittura a credere di poter tornare a camminare come una volta.

La tragedia si scatenò una notte di fine estate. Quella notte mi svegliai per il caldo e udii un bisbiglìo provenire dal giardino. Intravidi, attraverso una finestra, Agnes che parlottava con un uomo sconosciuto e riuscii a captare il contenuto di quel dialogo. «Il nostro piano funzionerà, sembrerà un banale incidente in piscina, nessuno sospetterà di me. Dopo il funerale fuggiremo assieme lontano a goderci il malloppo, amore mio.» Mi ero illuso ancora una volta e avevo il cuore che sanguinava ma dovevo rassegnarmi al mio destino. Agnes non si accorse mai del fatto che l’avevo scoperta e non lesse la disperazione in fondo ai miei occhi.

La mattina dopo, come al solito, ci recammo a fare una passeggiata nel parco e quando il sole era alto arrivammo nei pressi della piscina. Lei si tuffò per prima nell’acqua. Mentre nuotava con foga non fece caso a me che raccolsi un cavo elettrico, lo spellai, lo allacciai alla rete e lo gettai nella piscina. Anche lei diventò un fantasma come le altre e anche quella volta non ebbi pietà.

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