Racconto di Roberto Bugliani

(Prima pubblicazione)

 

porque cuando quieras / tú tendrás mi amor… canticchiava con trasporto Patricia la sua cumbia preferita. La giornata era iniziata bene: alle dieci di mattina erano arrivati i primi centocinquanta recapitati dalla faccia glabra e malinconica d’un tizio di mezza età che s’era fatto pisciare sul corpo nudo così pallido e molliccio da provocare disgusto in una donna giovane e piacente come lei. Ma proprio una come lei quella sensazione non se la poteva permettere. “Ecco la pioggia dorata”, annunciò Patricia l’apparire del fiotto giallastro, per orientare il quale si costrinse a guardare il membro turgido dell’uomo che si masturbava sotto le sue gambe aperte, le ginocchia piegate e i talloni sollevati per fare forza sulle palme dei piedi.

Mezz’ora dopo fu il turno del secondo cliente, un marcantonio taciturno dai gesti pesanti e duri come pietre che s’era fatto strofinando il membro inguainato sulle natiche di lei e liberando un gorgoglio fastidiosamente roco da lavandino sturato.

Già trecentocinquanta, contando anche il biondino slavato dallo sguardo timido e incerto che era venuto subito, non appena lei gli aveva infilato il preservativo e cominciato a massaggiare quel membro ammosciato con movimenti slentati del polso.

La domenica mattina è sempre così, corrono qui con la scusa di cercare il tabacchino di turno dopo aver accompagnato la moglie in chiesa o a fare la fila in pasticceria. Poi il pomeriggio non si batte chiodo, specie se è bel tempo, perché nessuno rinuncia alla partita o al consueto giro in macchina con la famiglia. E il lunedì eccoli seduti al volante delle loro scatolette in coda al primo semaforo rosso o ferme al primo ingorgo della mattinata, clacsonando con l’ansia di far tardi al lavoro” – rimuginava tra sé pensieri di questo tipo Patricia nella solitudine d’una domenica pomeriggio che era filata via più deserta d’un Sinai, mentre riempiva la terza tazza di caffè bevuta per ammazzare il tempo e la voglia d’uscire in strada, tra la gente, all’aria aperta, via da quella prigione a cui aveva consegnato la sua vita.

Aveva compiuto ventinove anni la settimana prima Patricia, e da dieci si prostituiva. Aveva iniziato in un bordello di lusso del quartiere degli affari di Paitilla a Panama City, frequentato da liberi professionisti dallo sguardo untuoso e le ascelle perennemente sudate, da uomini politici dalla faccia più tagliente d’un rasoio, e tutti sul libro-paga della mafia, da loschi commercianti dall’aria levantina e da banchieri ebrei calvi e obesi già avanti con gli anni. Quattro anni prima il suo ragazzo era stato ammazzato all’interno del night-club Mariposa azul dove lavorava come cameriere, coinvolto in una rissa tra clienti ubriachi che lui aveva cercato di sedare intervenendo proprio mentre uno dei riottosi aveva tirato fuori dalla tasca il coltello e glielo aveva piantato in petto. Pochi giorni dopo che il mondo le era crollato addosso Patricia era salita sull’aereo per la Spagna, dove l’amica Blanca l’attendeva in una casa d’appuntamenti di Siviglia.

A Siviglia Patricia era rimasta solamente un pugno di mesi. L’ambiente del bordello era opprimente, i clienti scarsi e con troppe pretese, i turni di lavoro sfibranti. Spesso le ragazze dovevano tirare fino alle tre del mattino, per poi ricominciare a mezzogiorno in punto. Così un giorno Patricia disse addio a Blanca e, infilato nella borsetta il foglio di carta su cui un cliente greco le aveva segnato l’indirizzo d’un piccolo hotel nel centro d’Atene (“nel caso decidessi di cambiar aria, presentati a nome mio al direttore di questo hotel, la clientela è di prim’ordine, e sono sicuro che, bella e brava come sei, guadagnerai almeno il doppio di quanto guadagni in questa topaia“, le aveva detto il greco), entrò in una agenzia di viaggi e acquistò un biglietto aereo per la capitale greca. Scesa all’aeroporto di Atene, Patricia prese un taxi e diede al conducente l’indirizzo dell’hotel.

Non le ci volle molto per rendersi conto d’essere caduta dalla classica padella nella classicissima brace, con i clienti che bussavano impazienti alla porta della sua camera e con la stessa brusca impazienza si liberavano delle loro voglie, poi se ne andavano senza rivolgerle nemmeno un saluto e tirando sul prezzo come in un suk arabo.

Coi soldi messi da parte in quei mesi, Patricia comprò un biglietto aereo per Pereira, la città colombiana dov’era nata. Ma contrariamente ai suoi progetti, la rete d’amicizie su cui pensava di fare affidamento per rimettersi in gioco era stata smantellata in parte dal trascorrere del tempo e in parte dalla polizia. Così scoprì che far ritorno a quel suo paese del Terzo Mondo non era stata una buona idea, e adesso non sapeva proprio dove sbattere la testa.

L’anno dopo ci fu una storia che Patricia preferisce non ricordare. Accenna a quel periodo dicendo d’essere stata “in collegio” a Bruxelles. Il “collegio”, ossia quindici mesi d’inferno trascorsi nel padiglione del carcere femminile della capitale belga per aver fatto la mula (così si chiamano in gergo le donne disposte a rischiare la vita ingerendo decine d’ovuli di cocaina pura) tra la Colombia e l’Europa, mentre altri sei mesi le furono condonati per buona condotta. Scontata la pena, la prima cosa che Patricia fece fu di salire su un treno diretto in Italia, come le aveva consigliato l’amica Rosita, sua compagna di cella al “collegio”.

A Roma la madre di Rosita l’accolse nel suo appartamento affittandole la camera della figlia e quella d’un monolocale a Tor Bella Monaca dove esercitare, ma in cambio pretese da lei, oltre agli affitti, anche il pagamento per intero delle bollette di entrambi gli appartamenti e un bonus per il figlio disoccupato, che consisteva nel farsi carico delle rate di un’auto gialla con la scritta TAXI sul tetto.

Negli ultimi tempi Patricia non era più in buoni rapporti con la mamy, come chiamava con un misto di riconoscenza e affetto la donna. In fondo lei voleva bene alla vecchia che l’aveva accolta in casa come una figlia e s’era presa cura di lei ricordandole che quello era un lavoro stressante, che voi signorine con la vostra attività siete portate a consumare molte energie e che proprio per questo l’alimentazione è importante per mantenervi in forma, soprattutto se si ha la costanza di seguire una dieta equilibrata. Ma gli affari sono affari, e lo erano anche per Patricia, che mal sopportava che la vecchia le spillasse soldi in continuazione adducendo pretesti su pretesti; perciò, a un certo punto la giovane smise di stare al gioco, fece le valigie e se ne andò via, sorda alle promesse della vecchia fattele se fosse rimasta, e successivamente alle sue minacce. Se ne andò al Nord, che per lei più che un luogo geografico era un’opportunità per far quattrini in fretta e magari sistemarsi con qualche barbogio benestante, com’era successo a certe sue colleghe in verità più brutte e con più anni di lei.

La sua piazza preferita era Verona, in un appartamento vicino alla stazione ferroviaria, dove s’alternava con altre due ragazze, una polacca e una triestina, entrambe biondissime e dalla pelle bianca come latte, così che lei era la nota di cioccolato dal fascino esotico.

Una settimana Patricia la passava lì, un’altra a Padova e la terza a Mestre, in appartamenti sempre uguali con le tapparelle perennemente abbassate e la luce accesa, col gracchiare del citofono sempre lo stesso come le voci che da sotto biascicavano “amici”. A ogni modo, e a prescindere dalla città in cui al momento si trovava, Patricia doveva saper gestire con l’accortezza d’una professionista di relazioni pubbliche la comunità sempre crescente dei suoi clienti, taluni carini, simpatici e benestanti, altri, ed erano i più, solamente benestanti, ma tutti istradati sulla via della fidelizzazione, che la invitavano a cena confidando di far colpo su di lei portandola nel ristorante più chic della città o presentandosi all’appuntamento alla guida d’una potente macchina sportiva.

Rammentando le indicazioni di mamy, nel corso delle cene al ristorante coi clienti Patricia si limitava a spizzicare un boccone qui e un altro là, senza finire mai nessuna portata, ma fingendosi presto sazia, mentre sua e solo sua era invece la sfida lanciata al cliente nel bere e la competizione durava fino a quando le prime risate volgari e insensate le dicevano che anche quella notte avrebbe cercato di dimenticare tra le braccia dell’occasionale partner i suoi frammenti non ricomponibili di cuore lasciati sul letto disfatto d’una stanza d’albergo di Bogotà durante un’altra stagione della sua vita.

… porque cuando quieras / tú tendrás mi amor… ebbe il tempo di canticchiare prima del gracchiare insistente del cicalino, Patricia. Nello stesso momento anche il cellulare sul sofà si mise a squillare emettendo suoni modulati e brevi. “Merda secca!” esclamò lei, incerta a quale dei due dare la precedenza.

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