Racconto di Luisa Frosali
Avevo circa dieci anni come Barbara, la mia amica del cuore. L’avevo conosciuta grazie a suo nonno che abitava di fronte alla casa in cui ci eravamo da poco trasferiti. Dopo qualche tempo, i nostri genitori ebbero occasione di convenire sul fatto che mi avrebbe giovato uscire da quel piccolo paese di campagna per conoscere una città importante come Firenze. Venne perciò concordato che, una volta al mese, avrei trascorso un fine settimana come ospite a casa di Barbara, dove, da subito, mi parve di vivere su di un altro pianeta. Mia madre, tanto per dirne una, faceva tutto in casa. La madre di Barbara, invece, aveva una domestica fissa. Inoltre la casa di Barbara era così grande da poter accogliere due cani, quando a me non era permesso di tenere neanche un criceto. Quei due cani erano così fortunati da poter scorrazzare indisturbati per il grande giardino condiviso con la zia e la cugina, una bellissima quindicenne dal nome di Annalisa, che abitavano al piano terra. Spesso io e Barbara la spiavamo dalla terrazza, mentre lei, nella sua cameretta, sedeva davanti la toilette, intenta a truccarsi e acconciarsi i capelli in una maniera che,
ai nostri occhi di bambine ingenue, sembravano inconcepibili. Per altro Barbara era molto attaccata ad Annalisa. Purtroppo non si poteva dire la stessa cosa di quest’ultima, che oltre alla toilette, aveva un morboso attaccamento con il telefono tanto da riuscire a suscitare le ire di sua zia, che sfociavano in grida tali da sfondare il soffitto. Un sabato pomeriggio l’accesa discussione fra le due ebbe inizio così:
“Camilla mi ha telefonato per dirmi di una festa” “E allora?”
“Io ci voglio andare!”
“Sei troppo piccola per andare alle feste!”
“Prometto di tornare presto!”
“No, neanche per sogno!”
“Sei cattiva!”
“Sì, hai una madre brutta e cattiva. Quindi stasera starai a casa, punto e basta!”
I singhiozzi di Annalisa trapassavano le pareti domestiche e continuammo a sentirli fino all’ora di cena. A differenza di Barbara, che era abituata a quelle scenate, io quella sera spilluzzicai dal piatto. Per riprendere il buon umore, ci volle il gioco da tavolo dal nome Cluedo. Io, Barbara e due sue compagne di classe eravamo in terrazza, tutte con la testa china sul tavolo, intente a prendere nota su dei foglietti degli indizi che ci avrebbero aiutato a scoprire l’identità dell’assassino, quando, all’improvviso, un grido tremendo ci colse totalmente impreparate. Lasciammo che i nostri lapis rotolassero giù dal tavolo e dalla terrazza dove corremmo ad affacciarci. Sotto di noi, la zia di Barbara si stava per strappare tutti i capelli. A quanto pare sua figlia era evasa usando le tende per calarsi giù dalla finestra di camera. La mattina seguente, una assolata domenica di fine maggio, i genitori di Barbara ci informarono che Annalisa sarebbe stata assente per tutto il giorno.
“Resterà chiusa a chiave in soffitta fino a domani mattina” “Perché?” chiese Barbara più per curiosità.
“Ha disobbedito e quando si disobbedisce, bimbe, bisogna sempre aspettarsi una bella punizione”
Barbara non disse nulla. Si limitò a scrollare le spalle per tornare, con la sua consueta voracità, alla ricca colazione.
A me, invece, ancora una volta, l’appetito sparì.
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