Racconto di Fabio Losacco
(Prima pubblicazione)
Nel suo lavoro era sempre stato maniacalmente preciso e questo gli dava sicurezza e lo faceva sentire sereno.
Quella mattina si era quindi alzato con molto anticipo ed era già pronto mezz’ora prima del necessario.
Questa era da sempre la sua abitudine, perché odiava essere in ritardo.
Doccia, barba e vestito di tutto punto.
La valigia già preparata e appoggiata di fronte alla porta.
Adesso tutto era pronto per la partenza e finalmente aveva un po’ di tempo da dedicare a sé, tempo che avrebbe riempito di pensieri e di fantasie mentre se ne stava con i gomiti appoggiati alla finestra della sua camera guardando fuori.
Era quella la parte della giornata che gli sarebbe piaciuta di più.
Il cielo sembrava promettere pioggia, anche se era difficile sapere se sarebbe stato di parola, e lui se ne stava lì fermo, pensando a tutto quello che avrebbe dovuto ancora fare prima di sera.
Di fronte alla finestra della sua camera c’era un grande albergo di lusso, con finestre enormi, facciate splendenti e grandi, gigantesche terrazze.
Se si sporgeva ancora un po’ e si alzava in punta dei piedi riusciva anche a intravedere lo splendido attico, anche se era in gran parte nascosto da pergolati di fitte piante rampicanti.
Era un posto splendido, con un’ineguagliabile vista su Firenze e dove si fermavano a soggiornare uomini d’affari, politici e Capi di Stato.
Un via vai di persone importanti che veniva a visitare la culla del rinascimento.
L’aria era umida quella mattina ma frizzante di quasi primavera e a lui piaceva respirarla.
Intorno un gruppo di passerotti svolazzava allegramente, rincorrendosi e fermandosi sui cornicioni cinguettando allegramente.
Era quasi primavera anche per loro.
Quel suono gli faceva ricordare quando da ragazzo passava le sue estati ai giardini con i suoi amici, ridendo per tutte le inutili sciocchezze che si raccontavano.
Poter essere stupidi era il più grande dei privilegi che svaniva insieme alla gioventù.
I passerotti poi gli erano sempre piaciuti e ora vederli gli trasmetteva un’ondata di insensata euforia.
Cosa avrebbe potuto fare per attirarli un po’? Ci sarebbe voluto del cibo ma nella camera di quella anonima pensione non c’era niente di commestibile.
Poi un’illuminazione.
Se non si sbagliava l’altro giorno in aereo avevano distribuito dei biscotti e dei cracker che lui non aveva mangiato ma che si era fatto scivolare nella tasca del suo loden.
Aveva sempre odiato sprecare il cibo.
Andò a controllare e fu lieto di avere avuto ragione.
Prese i due pacchetti e tornò alla finestra.
Iniziò a sbriciolare prima i cracker e ne lasciò cadere i piccoli frammenti sul cornicione.
In un primo momento i passerotti si mostrarono titubanti, poi presero, lentamente, ad avvicinarsi.
All’inizio furono solo i più audaci a vincere la paura e a lasciarsi irretire dal cibo.
Ne arrivò prima uno, poi due e poi tre, iniziando a beccare felici per l’inattesa abbondanza di leccornie.
Dopo qualche istante altri, un po’ meno coraggiosi ma rinfrancati dall’esempio dei propri simili, li raggiunsero.
Lui sorrise e continuò a sminuzzare i salatini cercando di distribuirne le briciole nel modo più equo.
Adesso il cornicione sotto la sua finestra si era trasformato in un allegro rave di piccoli pennuti pigolanti.
Di fronte intanto un’enorme macchina scura venne a fermarsi davanti all’hotel ma lui la notò a malapena.
Guardò l’orologio, vide che era ancora presto e quindi decise di rimanere ancora un po’ a giocare con i suoi piccoli amici.
Richiamati da quella moltitudine di passeracei variamente pigmentati anche un paio di piccoli corvi vennero a reclamare quanto di loro spettanza
Lui resistette alla tentazione di scacciarli.
C’era qualcosa per tutti e non toccava a lui dover decidere a chi spettasse e a chi invece no.
Continuò a sminuzzare con cura quello che aveva, osservando nel contempo le finestre del maestoso albergo di fronte che, aprendosi un po’ alla volta, lasciavano intravedere le cameriere intente a rassettare.
Le stanze erano grandi e arredate con sobria eleganza.
Guardò di nuovo l’orologio ma il tempo sembrava non passare mai.
Del resto nel suo lavoro il tempo era fondamentale e non poteva assolutamente perderne il controllo.
Sarebbe stato imperdonabile.
Intanto una seconda macchina nera era arrivata e lui continuava a pensare con fastidio a quanto avrebbe ancora dovuto aspettare prima di potersene finalmente andare.
La certezza di avere già taxi e treno prenotati lo faceva però sentire tranquillo e gli permetteva di godersi gli schiamazzi dei suoi cari pennuti.
Ora ai passerotti si erano aggiunti altri voltatili.
Una tortora di un bel grigio lucido che ricordava un’auto appena uscita dal concessionario e addirittura una grossa gazza che cercava di allontanare tutti gli altri.
Anche stavolta fu tentato di cercare di scacciarla ma poi pensò che anche lei aveva diritto a mangiare come i passerotti, i piccoli corvi e la tortora metallizzata e quindi rinunciò.
Aprì quindi l’altra bustina e iniziò a sbriciolarne il contenuto che stavolta era costituito da grossi biscotti coperti di zucchero.
I suoi giovani e voraci amici sembrarono gradire il cambio di menù.
Dalle due auto nere intanto erano uscite diverse persone, tutte vestite con completi scuri, che si erano disposte di fronte all’entrata dell’hotel.
Un paio di loro invece erano entrati.
“Pio pio pio” disse mentre gettava altre briciole.
Sul davanzale la piccola folla festeggiava con gioia la golosa messe di cibo.
Il cielo si era chiuso ancora un po’ di più e adesso la luce aveva una tonalità di grigio che faceva ricordare un crepuscolo invernale, anche se era una mattina di marzo inoltrato.
La lotta degli uccelli per l’ultima briciola continuava ad affascinarlo regalandogli una sensazione di quiete mista ad allegria.
Ancora qualche briciola, ancora qualche pigolio, poi di sotto vide arrivare altre due auto.
Sempre nere e con i vetri oscurati.
La strada adesso era praticamente bloccata.
Dall’entrata principale dell’albergò uscirono 3 uomini anche loro con degli abiti dello stesso colore delle auto, poi altri due e infine, circondato dai 5, un signore anziano con i capelli bianchi tagliati con cura e con indosso un completo grigio chiaro sul quale risaltava una cravatta di un bel rosso vivo.
Sul davanzale arrivarono anche un paio di piccioni, grandi, grossi e anche loro, stranamente, neri come le macchine ferme in strada.
In confronto ai passerotti sembravano Gulliver arrivato a Lilliput.
Subito iniziarono, a loro volta, a impadronirsi delle briciole rimaste.
Pure stavolta lui lasciò fare perché sapeva bene come anche la prevaricazione facesse parte delle regole non scritte dell’esistenza.
L’uomo anziano si diresse verso una delle auto che aveva spalancato una portiera.
Gli uomini corvo lo circondavano.
Come un pulcino nel proprio nido.
Era evidente si trattasse di una persona importante, uno di quelli da proteggere a ogni costo.
Lui pensò che non sapeva nemmeno chi fosse.
Come sempre.
I piccioni ora avevano fatto fuggire gran parte dei passerotti.
Anche sul cornicione aveva vinto la regola del più forte, perché Davide e Golia non erano contemplati nemmeno in natura.
L’uomo importante si trovava ora proprio davanti allo sportello aperto ed esattamente nel centro del mirino del suo fucile piazzato sul davanzale.
Lui tirò il grilletto e il colpo, attutito dal silenziatore, fece il rumore di un chicco di mais che scoppiava a contatto con la fiamma.
La testa dell’uomo, che fino a un attimo prima era importante, fece lo stesso.
Tutti gli uccelli fuggirono lontano.
Lui ritirò il fucile, lo ripose velocemente e un secondo dopo aveva già aperto la porta per uscire.
Proprio in quell’istante però ebbe un ultimo pensiero che lo convinse a ritornare sui suoi passi.
Riaprì la finestra e fece cadere le ultime briciole rimaste sul cornicione deserto che in pochi momenti si riempì nuovamente del popolo svolazzante.
Ora poteva davvero andarsene.
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