Racconto di Liliana Vastano

 

La villa incastonata tra le colline della campagna toscana è in completo abbandono, le finestre e il portone sono murati, resistono ancora alcune grate sparse qua e là. La dependance è invasa da rampicanti infestanti. Sentinella muta e dolente una quercia spoglia. Dietro la dependance dovrebbe esserci una botola. La cerco e la trovo, coperta di erbacce e di rovi, in abbandono come tutto il resto. Riesco ad aprirla e scendo nel cunicolo miracolosamente intatto. Arrivo nella cantina piena di ragnatele e oggetti annebbiati dal tempo, imbocco le scale e mi ritrovo nella grande cucina: ci sono tutti o quasi. Il nonno Ignazio è seduto in una poltrona vicino al camino, si è appisolato leggendo un libro. Dorme poco di notte, non tanto per la vecchiaia ma per i colpi di fucile e le scariche di mitraglia che arrivano dalle montagne dove si combatte. Lassù è andato anche zio Franco il più giovane dei miei zii. E’ rimasto nascosto per un po’ di tempo per evitare le retate ma poi ha voluto fare anche lui la sua parte. Da quando è andato via non si hanno sue notizie La nonna è intenta a riordinare la cucina, sempre col pensiero rivolto al figlio su in montagna. Zia Vittoria e zia Maria stanno rammentando i pantaloni dei miei cuginetti. Come al solito, parlano dei loro mariti partiti per il fronte e di cui non si hanno notizie da un paio d’anni. L’ultima lettera, quasi tutta censurata dai controlli miliari, è arrivata nell’estate del ’41. Quando sono liberi dai compiti, i cuginetti stanno sempre per terra a giocare con Miù. E’ il loro unico passatempo, non possono andare fuori in quello che una volta era un giardino, è troppo pericoloso, giù in paese ci sono i tedeschi, potrebbero passare per seguire le tracce di un partigiano, basterebbe un nonnulla e potrebbe accadere una tragedia. Andare in giro quindi, non è consigliabile ma le donne di casa devono farlo necessariamente per procurarsi un po’ di pane, latte e qualche pagnotta, le provviste sono agli sgoccioli. Si pensava che, con l’armistizio, la guerra sarebbe finita, invece no: i tedeschi in ritirata stanno seminando il terrore. Non si contano i rastrellamenti e le esecuzioni sommarie anche di anziani e bambini. I due cani che erano a guardia della villa sono stati falciati da una raffica di mitra quando si sono scagliati abbaiando contro le prime camionette tedesche che passavano, i conigli e le galline dietro alla dependance sono stati sacrificate per la sopravvivenza della piccola comunità. È rimasto solo il gatto Miù, padrone di tutta la villa, che può entrare e uscire quando vuole sempre che i piccoli non lo sequestrino per giocarci. A modo suo fa anche da sentinella: quando qualcosa lo insospettisce rizza il pelo, emette un suono che sembra un sibilo e sparisce per andare chissà dove.

Probabilmente proprio questo era accaduto quella mattina di più di settant’anni fa. Durante la notte nessuno era riuscito a dormire, le raffiche di mitra e i colpi di pistola avevano scandito le ore e i minuti di chi già abitualmente riposava a stento e solo all’alba, con la luce del sole, trovava un po’ di pace. Solo il gatto Miù, accoccolato sulla poltrona del nonno, ronfava placidamente ora che i bimbi non gli davano il tormento. Ma qualcosa stava succedendo perché Miù rizzò il pelo e con un sibilo scattò via dalla poltrona e fuggì chissà dove. Subito dopo alcuni soldati tedeschi sfondarono le porte ed entrarono emettendo urla bestiali e parole incomprensibili. Cercavano un partigiano sfuggito alla cattura dopo gli scontri a fuoco della notte. Entrarono e rovistarono dappertutto, imprecando e urlando e poiché non trovarono nessuno, uccisero a bruciapelo tutti: il nonno, la nonna le zie i cuginetti. Si salvò solo il gatto. Un silenzio di morte s’impadronì della villa, interrotto solo da un miagolio disperato che scandiva le ore. Quando i corpi furono rimossi, nessuno fu capace di trovare il gatto. La villa rimase così abbandonata finché mio padre, unico erede, decise di metterla in vendita qualche anno dopo la guerra. Nessuno la voleva anche perché si era sparsa la voce che vi abitasse un gatto enorme che durante la notte emetteva un miagolio disperato. Negli anni settanta la villa fu occupata da alcune comunità di giovani e la leggenda del gatto enorme che vagava disperatamente nella villa prese corpo, grazie anche alle sostanze allucinogene che vi circolavano. Dopo qualche anno, per motivi di sicurezza la villa fu sgomberata e furono murate porte e finestre per evitare altre intrusioni. Poiché ancora nessuno la voleva acquistare, mio padre, non avendo la possibilità di ristrutturarla, decise di donarla al comune. Sono passati tanti anni ma la villa è ancora là, fatiscente, col suo alone di morte e c’è ancora chi giura di vedere dei dintorni un enorme gatto e di sentire in lontananza il suo miagolio disperato.