Racconto di Lucia De Bortoli
(Pubblicazione 25 ottobre 2019)
Davanti all’ingresso dell’antro fiorisce un mare di papaveri e un’infinità di erbe, dalla cui linfa l’umida Notte attinge il sopore per spargerlo sulle terre immerse nel buio (Ovidio, Le metamorfosi)
Non credo di aver mai scelto. Mai potuto decidere io, neanche dove dormire.
Il tetto sotto cui vivevo era già una grande concessione che mi veniva fatta, un regalo che la vita mi dava e che dovevo accettare con riconoscenza.
Appena nata avevo un lettino in legno scuro di mio cugino, lui era un maschio ed il letto era semplice, senza fronzoli o ricami. Non solo ero chiusa tra delle fredde sbarre, ma di un colore così scuro che anche il sole era buio.
Da ragazza il letto è diventato improvvisamente bianco lucido, splendeva agli occhi e allo stesso tempo dava un senso di freddo, di solitudine e distacco. Distacco da quella che era la mia vita, da quello che volevo io, da ciò che realmente mi rappresentava. Il bianco asettico di quel letto esprimeva la velocità con cui i miei genitori avevano scelto per me, il modo sbrigativo con cui avevano arredato una stanza solo perché dovevano.
Se fossi stata un maschio, sarebbe stato lo stesso. Il bianco si intona a tutto, il legno lucido impiallacciato non ha sesso, non ha carattere. Ed io non dovevo averne, non dovevo disturbare.
Quasi per ribellione, proprio in quel letto, ho varcato i confini della morale, in quel letto ho pianto, sognato e amato.
Ma ancora non avevo capito…
Prima di sposarmi ho scelto io la camera.
A ripensarci ora, sembra un gioco assurdo della mente umana.
Era un letto di legno scuro impiallacciato lucido. Un connubio tra quello con le inferriate di quand’ero bambina e quello bianco da ragazza. Una testiera liscia, senza fronzoli, senza imbottitura che potesse accogliere la schiena durante i momenti di quiete. Il letto serviva solo per dormire e sospirare.
Era di legno, ma non caldo e accogliente, bensì di plastica. Come tutto attorno a me.
Ancora non avevo capito.
In quel letto ho pianto molto e amato poco, finché l’ho buttato, finché mi sono liberata di quello che non mi apparteneva più, di quello che non era più mio.
Piano piano cominciavo a capire.
Ho comperato un letto nuovo. Bianco, con grandi ricci di ferro che risaltano su una parete azzurra. Un letto alto che mi fa sentire importante, che mi fa salire in cielo quando amo. Mi accoglie e mi coccola, mi saluta al mattino e mi abbraccia la sera.
In questo letto ho amato molto e pianto poco. Ho aspettato i figli che rientrassero la sera, ho parlato notti intere a me stessa, ho chiuso libri sotto il cuscino e scritto sogni nel cassetto, mi sono rilassata a bere un tè mentre fuori il vento scompigliava gli alberi e mi sono innamorata mille volte dello stesso uomo.
Penso che non lo cambierò mai…
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