Racconto di Angela Anna Acquaviva

 

Più che odiare quell’anziana donna, che ci ricordava le care nonne lasciate al paese, ce la mettemmo tutta ad odiare la Svizzera.

E pensare che prima d’allora lo consideravamo un luogo paradisiaco, arrivando perfino ad accarezzare l’idea di andarci a vivere appena laureati. Era infatti al primo posto nella nostra lista delle future destinazioni. Ci sembrava l’Eldorado per i tanti vantaggi che offriva: una migliore qualità di vita, buone opportunità di lavoro, un sistema amministrativo e fiscale semplice e snello, ottimi servizi e l’assenza di criminalità.

Bastarono invece solo tre mesi a spuntarla da quell’elenco senz’alcuna possibilità di ripensamento.

Finito il liceo, io e Paolo, amici per la pelle da sempre nonché compagni di classe in tutti i tipi di scuola frequentati, decidemmo d’iscriverci all’università scegliendo Pisa come sede.

Così verso la fine di agosto partimmo per andare a fare l’iscrizione e trovare una degna sistemazione. Nella bacheca dell’università fioccavano offerte di ogni tipo. Mappa della città alla mano, puntammo su quella che sembrava la meno distante dall’università. Per la sua posizione ci parve strano che fosse ancora disponibile e ci proponemmo di tenere gli occhi ben aperti per scoprirne la ragione. Telefonammo al numero lasciato in bacheca e una voce femminile ci diede appuntamento alle 11:00. A piedi, in meno di quindici minuti arrivammo a destinazione. Erano le 10:50 e allora ci fermammo ad osservare la casa dall’esterno. Non era di grandi pretese e si ergeva su due piani. Dopo 10 minuti suonammo alla porta e ci trovammo di fronte una signora sull’ottantina dall’aspetto abbastanza rassicurante. Ci fece accomodare nel soggiorno e ci disse che giù abitava lei e al primo piano fittava. Ritornammo così nell’ingresso e attraverso un’agevole scalinata salimmo con lei.

L’appartamento constava di due camerette, un cucinino, un bagno e un piccolo ripostiglio. Chiedeva 390 euro al mese per ciascuno e voleva tre mensilità in anticipo che non avrebbe restituito nel caso in cui noi avessimo deciso di andar via prima. Ci guardammo in faccia stupiti da quella precisazione, ma non ci badammo più di tanto dal momento che eravamo rimasti colpiti dalle buone condizioni dei vari ambienti e dal congruo prezzo. Accettammo e le dicemmo che saremmo ritornati la settimana successiva per insediarci definitivamente. Poi con un certo orgoglio telefonammo a casa per dare la bella notizia e, pienamente soddisfatti, ritornammo al paese per preparare il necessario per il trasferimento.

Ansiosi d’assaporare l’autonomia e la piena libertà, dopo appena cinque giorni ci rimettemmo in viaggio col nostro consistente carico.

All’arrivo depositammo i bagagli e uscimmo per cenare. Ci fermammo in una pizzeria poco distante e consumammo una pizza accompagnandola con un buon boccale di birra. Rientrammo intorno alle 23:00 e preparammo i letti per poi andare a turno in bagno. Fu Paolo ad andarci per primo. Dopo manco un minuto m’intimò di raggiungerlo immediatamente. Appena fui lì gli dissi:

“Che c’è? Manca la carta igienica?”

“No, quella c’è e ci sono pure due orinali coi nostri nomi attaccati sopra. Che significa secondo te?”

“Cosa? Dove?”

“Guarda, lì di fianco alla doccia. Un momento, c’è dell’altro. Vedo pure un cartello attaccato alla parete.”

“Lo sapevo che ci doveva essere sotto qualcosa!”

Cominciammo a leggere e per la sorpresa e l’incredulità rileggemmo una seconda volta. C’era scritto:

“Siamo in Italia, ma esigo lo stesso che osserviate la seguente regola vigente in Svizzera:

È CATEGORICAMENTE PROIBITO TIRARE LA CATENA DEL WC DOPO LE 22:00 E, PER VOI CHE SIETE UOMINI, URINARE IN PIEDI DI NOTTE PERCHÉ IL RUMORE M’INFASTIDIREBBE E DISTURBEREBBE SENZ’ALTRO IL MIO SONNO.

Se ne avrete necessità, dovrete usare gli orinali che vi ho appositamente fornito.”

Il testo naturalmente riportava in calce la sua chiara firma.

Ci teneva in pugno ormai; non potevamo buttare al vento le mensilità anticipate. Per tre mesi eravamo in suo ostaggio e temevamo, anzi ne eravamo già certi, che per tutto quel tempo non avremmo avuto vita facile. Non ci restava altro da fare che rassegnarci ad essere suoi prigionieri, ma non passò notte in cui non sacramentassimo contro la Svizzera.