Racconto di Margit Horsky

“RaccontiConParola-2”

 

Né Anna Karenina né Emma Bovary. Non fu un folle amore né la natura romantica di una sognatrice a spingermi a tradire mio marito. Fu, molto prosaicamente, la vendetta.

Per natura ero sempre stata una persona onesta. Anche se cercavo di non darlo a vedere, mi imbarazzavano e al tempo stesso incuriosivano i racconti erotici delle mie amiche che, guarda caso, non riguardavano mai il talamo nuziale.  Ma non sentivo il desiderio di emularle, per me matrimonio e fedeltà erano due cose imprescindibili. Anche se non del tutto soddisfacenti.

Il sesso per mio marito era diventato una sbrigativa routine. Per me, che non riuscivo ad esprimere i miei bisogni, era ancora l’attesa di strabilianti orgasmi, come quelli di cui raccontavano Gina e Irene. «Dovresti provare» mi dicevano, «dopo anni che assaggi la solita minestra, anche una pietanza appena più ricercata ti sembrerà sopraffina. E poi c’è sempre l’occasione di trovare un vero piatto gourmet».

Io ridevo e avanzavo scuse. Dicevo che un inizio di pancetta mi impediva di mostrarmi a occhi diversi da quelli di Davide, che comunque apprezzava i miei difetti. Così credevo allora. Finché non trovai il classico messaggio nel suo cellulare, dimenticato in camera mentre era in doccia. Non avevo mai violato la sua privacy, giuro. Eppure quella sera, quando la suoneria rilevò un nuovo messaggio, convinta che fosse di mia suocera che aspettavamo per cena, lessi distrattamente ciò che appariva sul display.

Dapprima incredulità: sarà arrivato per errore, pensai. Poi sospetto. E sempre più insistente. Non potevo accedere a WhatsApp, si sarebbe accorto dalle spunte azzurre che lo avevo letto. Avrei dovuto aspettare un suo momento di disattenzione. Non so come feci a controllarmi, per una volta fui felice che mia suocera fosse con noi.

Oggi pomeriggio ti sei superato e una sfilza di cuoricini, questo rilessi appena riuscii ad appropriarmi del suo cellulare. Non c’erano altri messaggi nella stessa chat ed ero sicura che anche questo sarebbe sparito. Il “ragionier Ferretti” non chattava mai.

Prima che venisse a letto, finsi un mal di testa nel caso volesse fare qualche approccio e mi girai dall’altra parte a rimuginare sulla infelice scoperta, tra cuore in subbuglio e mortificazione. Ma non ce ne sarebbe stato bisogno, l’essersi superato nel pomeriggio doveva averlo spompato.

Inutile dire che non dormii, che piansi in silenzio intanto che lui ronfava, ma ero decisa a non rivelare la mia scoperta. Prima dovevo individuare “il ragionier Ferretti”. Non dubitai neanche un attimo che fosse una donna. Eccomi, pensavo, alla soglia della mezza età col mondo che mi crolla addosso. Io, che avevo amato sempre e solo lui, che avevo sacrificato la mia carriera per favorire la sua, incasellata nella percentuale del 60% di mogli tradite.

Non starò a raccontare tutti i particolari della mia indagine, era così sicuro di sé o della mia credulità che lasciò piccoli indizi rivelatori. Cose che, se fossi stata meno ingenua, avrei capito prima.

Lei era una bellezza dell’est, forse in cerca di sistemazione o magari solo divertimento. Vederne il corpo da modella, la pelle fresca, gli zigomi pronunciati e la bocca carnosa fu più che doloroso. Del resto, perché avrebbe dovuto tradirmi con una per cui non ne valesse la pena?

Masticai molto amaro e, una volta ripresami dallo sconforto, meditai a tavolino la mia vendetta. Strano come si possa cambiare nel giro di pochi giorni.

Scelsi il suo socio, che in passato mi aveva corteggiato con discrezione ma senza oltrepassare il buon gusto o mettermi in imbarazzo. Era più vecchio di noi, in quell’età che mette gli uomini in crisi perché vedono l’infittirsi dei capelli bianchi, il fisico appesantirsi e non attirano più gli sguardi delle ragazze, a meno che non abbiano una Porsche o una Ferrari.

Creai l’occasione e lui, sorpreso e titubante all’inizio, la colse.

Quello che non avrei mai immaginato fu di essere a mio agio nei panni di una fedifraga. (Notato come non si usi la parola al maschile, nonostante esista?) Dopo un primo imbarazzo, ci provai proprio gusto a quella doppia vita. Ma mi sorprese ancora di più la ricompensa che ne trassi. Il sesso, forse perché proibito, era qualcosa di sorprendentemente piacevole. Un uomo che ci sa fare, si impegna, cerca il piacere della compagna. E io, una volta superati il pudore e una certa insicurezza, ne traevo un duplice vantaggio: godevo e mi vendicavo.

Quando possibile, controllavo la chat del ragionier Ferretti ma era sempre vuota. Sapevo comunque che la storia con la bella polacca continuava. Una volta la trovammo addirittura in un ristorante con gente che conoscevamo. I segnali che si scambiarono credendo di non essere visti mi riportarono un retrogusto amaro in bocca.

Il mio primo amante intanto cominciava a farsi degli scrupoli – la figlia stava per sposarsi, mio marito era un amico – non avevo voglia di sobbarcarmi anche i suoi problemi e di comune accordo la finimmo lì.

Poi Gina e Irene mi proposero di andare in Grecia con loro. Ne parlai con Davide che, trattenendo a stento l’entusiasmo, mi convinse ad andare, visto che lui di vacanze quell’estate non ne poteva fare, diceva.  Gli avrei spaccato la testa ma pensai che avrei avuto la mia rivincita. E così fu. Più volte. Con soddisfazione. A quarant’anni sapevo finalmente cosa voleva dire raggiungere un orgasmo ogni volta che scopavo.

A due anni dalla prima infedeltà, guardando il corpo scolpito di un mio giovane amante assopito, mi chiesi se davvero valesse la pena di angustiarsi ancora per il tradimento di Davide. In fin dei conti, per quanto riguardava il sesso, ci avevo guadagnato e trovavo gli amplessi frettolosi con lui sempre più deludenti. Ma che vendetta sarebbe stata se lo avessi lasciato libero? No, si sarebbe tenuto la sua amante, mi avrebbe mantenuto nel benessere, mi avrebbe pagato le vacanze e, speravo, si sarebbe sentito un po’ in colpa nei miei confronti. Io da parte mia avrei agito con piacevole discrezione.

Poi l’occhio mi cadde sull’interno del ginocchio sinistro: una ragnatela di capillari si allargava sulla superfice abbronzata. Era un segno dell’età? Stavo invecchiando? E come? Avevo ottenuto quello che cercavo, ma ero soddisfatta, al di là del piacere, di quello che ero diventata? Avevo perso l’integrità che prima mi caratterizzava, stentavo a riconoscermi. Provai un leggero senso di nausea. Stavo per alzarmi quando una mano sul polso mi trattenne.

«Dove vai?» mi chiese, tirandomi a sé.

Ancora una volta – pensai – poi si vedrà.