Racconto di Valeria Ronsivalle
(prima pubblicazione – 3 giugno 2020)
Caro Carlo,
spero che ovunque tu ti trovi ti raggiunga questa mia missiva.
Non sono mai stata brava a contare, ma qui abbiamo superato il mese di lockdown, e chissà tra quanto se ne parlerà di tornare alla normalità.
Vorrei poterti dire che alla fine di tutta questa storia sarà cambiato qualcosa.
Ma la verità è che credo che le situazioni critiche mettano solo in rilievo ciò che siamo e che abbiamo scelto di essere.
Nemmeno in guerra si riescono a mettere da parte macchinazioni, meschinità e strumentalizzazioni.
Nemmeno in guerra l’egoismo soccombe dinanzi al bisogno del più debole.
E poi ci sono quelli che in punta di piedi mettono la loro vita al servizio degli altri, e lo fanno per sé stessi, perché lo credono giusto, non per ottener qualcosa in cambio.
Ma la lotta è impari, tu lo sai bene.
Mi manchi, amico mio. Mi manca il modo in cui mi riprendevi quando la malinconia di sognatrice delusa mi assaliva e mi stringeva le viscere. Mi manchi quando in un tuo abbraccio si scioglievano tutte le mie ansie e il mondo per un attimo spariva, e mi sentivo al sicuro, io piccolina.
Ho adottato un paperino. Se ne andava in giro tutto impettito, da solo per il prato. Chissà da cosa scappava, o cosa cercava.
Mi ha beccato la mano, è diffidente, testardo, rifugge ogni contatto. Ma mi fa morir dal ridere, con quel suo darsi un contegno… e invece pare uscito da un cartone animato, spaurito, buffo, di una tenerezza che ti conquista il cuore.
Mi ricorda me stessa.
Credo che a fine pandemia diventerò sorda: la musica a tutto volume nelle orecchie è l’unica maniera per filtrare quell’angoscia che a tratti mi prende e non mi lascia andare.
No, non è il lockdown: a pensarci bene è tutta la vita che sono in quarantena, chiusa nelle mie paure. Avevo un bisogno disperato di amare, e mi punivo perché non riuscivo a proteggermi dal male che gli altri mi facevano.
E quando mi veniva concesso, di amarli, io ringraziavo: di poter lasciare finalmente libera la diga dei miei sentimenti. Che buffo: ringraziavo di poter essere me stessa. Come se il mare si giustificasse di lambire la riva con le sue onde.
Ma la guerra semplifica le cose, pure i sentimenti.
E a dir la verità in questo gran guazzabuglio, l’unica cosa che emerge, inesorabile, importante, è che l’amore, se c’è, c’è.
Esiste, resiste, a prescindere dal casino in cui ti trovi.
A prescindere dalle distanze fisiche e mentali che vuoi metter tra te e chi ami.
E non hai bisogno di conferme: perché chi ami non è fuori di te.
E’ dentro di te, nella parte più inaccessibile e profonda di ciò che ti appartiene.
Oh, lo so che mi diresti che finalmente ci sono arrivata, sento la tua voce calda e rassicurante che mi riporta a quando mi prendevi per mano, e indicandomi l’orizzonte mi dicevi di non aver paura a guardare l’orizzonte perché nella tempesta avrei avuto con me la bussola per trovare la terra.
Ricordo che un giorno, prendendomi in giro dinanzi all’ennesima sfuriata che ti avevo fatto, perché tu idealista a volte mi sembravi scollegato dalla realtà, mi mostrasti il cielo brillante di stelle, e mi dicesti: “Quei puntini luminosi all’orizzonte sono solo sogni. A farli brillare è la tua capacità di continuare a vedere la magia in ciò che ti circonda”.
Ricordo che in quel momento una lucciola ti è volata sul naso. E che siamo scoppiati a ridere insieme, quanto eri buffo, in barba al tuo idealismo!
Non l’ho tradito, ciò che mi hai insegnato, sai. Non ne ho indovinata una nella vita, ma continuo ad accendere il cielo con la mia magia ogni giorno, pure se striscio per terra.
La guerra ti strappa via ogni difesa mentale: a volte mi sento come se qualcuno mi avesse strappato di dosso la pelle, e fossi a carne viva.
Come se il mio cuore si trasformasse in milioni di minuscoli coriandoli, dispersi nel vento.
Allora mi guardo intorno alla disperata ricerca dell’essenziale.
Così ieri, mentre portavo fuori Etna, davanti al marciapiede di casa, ho cominciato a fotografare i boccioli che erano spuntati.
E’ stato un modo per riappropriarmi della vita.
E in quel momento ho sentito ricomporsi il mio cuore, come un film girato al contrario.
A volte, ti sento, nel vento. Mentre la mia fantasia immagina le margherite ondeggiare, raccontare di fiabe di fate.
O mentre osservo la vita scorrere intorno a me come dentro a un film, di cui io sono la vita narrante.
Allora arriccio il naso, e sento la tua barbetta ispida che mi sfiorava le rare volte che mi abbracciavi, tu schivo. E se ti dicevo che ancora non mi bastava, che avevo bisogno per una dannata volta di perdermi, in quell’abbraccio, tu mi rispondevi che l’amore vero va oltre ogni gesto fisico, è metafisico, è viscerale. E mentre lo dicevi mi stringevi più forte, per accontentarmi, e la tua barba mi graffiava le guance.
A volte mi pare ancora di sentirla quella sensazione.
E nel toccarmi le guance, mi dico che tu avevi ragione, e che nessun abbraccio potrà mai eguagliare ciò che abbiamo nel cuore.
Allora prendo il respiro e soffio nel vento la magia che ho nel cuore. Ovunque tu sia spero che ti raggiunga.
Tua Valeria.
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