Racconto di Rossella Focaccio
(Seconda pubblicazione – 26 marzo 2020)
A mia madre questa quarantena avrebbe fatto un baffo. Già da molti anni usciva pochissimo, e solo con mio padre. Ricordo le blande discussioni con lui, che quando non lavorava voleva fare qualche gita, ma lei faceva resistenza. C’è da dire che dai suoi balconi godeva di un panorama vastissimo, che va dalle lontane montagne del Matese, visibili con l’aria tersa di tramontana, sino a Montevergine, al Vesuvio ed al mare. Dinanzi il boscoso vallone del Cardarelli, la piana di Caserta, il Real Bosco di Capodimonte e giù sino al centro di Napoli, tappeto di case e chiese. Lei non si annoiava mai. Diceva che già solo guardare le nuvole e le loro forme, le luci sul paesaggio che cambiavano con l’ora e le stagioni, l’appagava con la loro bellezza. Usava spesso un binocolo, con il quale seguiva tutti i cambiamenti che si avvicendavano nel tempo: aree rurali che diventavano rimesse per natanti, poi la costruzione di una piscina per i napoletani che d’estate rimangono a Napoli, un nuovo complesso di edifici che biancheggiava spiccando dal grigiore circostante, e così via. D’inverno sorvegliava l’arrivo dei pettirossi, delle ballerine e delle capinere, che si rifugiano in città per sfuggire alle fredde montagne, d’estale rondini e rondoni che garrivano al vento, corvi e taccole stanziali, e nel bosco di castagni ormai inselvatichito notava i falchi, qualche poiana, ed il buffo richiamo delle quaglie di passo. Usava tenere un diario quotidiano, e leggerlo ora che non c’è più mi ha emozionato. Brevi frasi in cui riportava gli accadimenti essenziali del giorno, dalle vicende familiari alle notizie dei telegiornali, ma spesso erano le sue osservazioni sul fiorire degli alberi, sulle nubi sfrangiate, del canto notturno dei merli. Lieve ed ironica, a lei penso tanto in questi giorni, e mi ispira la sua tranquilla gratitudine per la semplice bellezza delle piccole cose.
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