Racconto di Katiuscia Napolitano
(Prima pubblicazione)
RaccontiConParola-2
Non aveva ascoltato una parola dei passi che stava leggendo il prete con voce monocorde, ma annuì da attrice consumata. Si dimostrava interessata, non come il futuro marito della ragazza bionda. Le ultime due lezioni, aveva proprio russato.
Era un passaggio obbligato, il corso prematrimoniale, verso il suo grande sogno: un matrimonio nella Basilica. Il don era stato irremovibile: “senza corso non vi sposo”. Ci erano volute settimane di lasagne alla domenica, per costringere Luca ad andarci.
Anche lei ci vedeva tutta l’ipocrisia del caso, certo, che lui però non smetteva di lamentare: “Cosa cazzo ne capirà un prete di matrimonio?”.
Lei sbuffava: “Lo so”.
Tanto il corso era da fare e mancavano giusto tre incontri.
Spegneva il cervello intanto che Don Roberto parlava, e si concentrava sulla to do list nell’agenda. Sembrava una discepola diligentissima mentre scriveva appunti su appunti del loro Grande giorno.
Tutte le sue amiche alla fine avevano preso una wedding.
“Sai che comodo? Ha fatto tutto lei.”
Era proprio questo il punto: non voleva che nessun altro se ne occupasse. Teneva al corrente solo Luca ma di striscio e giusto perché voleva sentisse che era il loro giorno. Lei però sapeva che era il suo, il suo. Il suo.
Schemi di schemi per organizzare il tableau. Alla fine si era ritrovata con centoventi invitati, tra parenti, colleghi, amici di calcetto e vecchi compagni di scuola. Aveva, inizialmente, millantato di volere una cerimonia intima ma poi il pensiero che più di cento persone l’avrebbero ammirata, avrebbero lodato il suo lavoro – dall’auto d’epoca al menù dei dolci – la gratificava come nient’altro aveva fatto nella vita.
Che senso di potere aveva provato nel mettere Mirna, la ex di Luca che adesso stava con un altro compagno delle superiori (- faceva la collezione, faceva -) al tavolo delle sue migliori amiche. Di sicuro non l’avrebbero coinvolta in mezza conversazione e, soprattutto, sarebbe stata tenuta d’occhio.
C’era stato un litigio per decidere il tema del tableau. Lui aveva proposto cartoni animati, lei aveva urlato che era un matrimonio, non la festa per i sei anni di un bambino delle elementari. Si era offeso, Luca, quella sera, era andato a letto senza rivolgerle la parola. Erano arrivati al compromesso delle località visitate nei loro viaggi. Il loro tavolo sarebbe stato gli USA, meta del viaggio di nozze a cui avevano chiesto di contribuire, con iban ben nascosto perché non stava bene schiaffarlo troppo diretto, sulle partecipazioni. Luca non aveva capito la presenza di Atacama, lei aveva risposto che era solo perché avevano finito i nomi, ed era un posto che avrebbe sempre voluto vedere, sempre.
Smarcato il tableau, con le bomboniere decise – borse di tela di un’associazione equosolidale, con dentro un vasetto di miele e uno di marmellata da agricolture biologiche – mancavano solo i fiori.
Peonie o gigli? scrisse sul quadernetto e lo allungò a Luca.
Lui le prese la penna della Legami dalla mano per scrivere: “Che cazzo sono le peonie?”.
Stava per disegnare un abbozzo del fiore, così che il suo basico marito capisse, quando una parola del sermone del don afferrò la sua attenzione.
“Ad alterum, andare verso un altro, cambiare, modificarsi. Adulterio. Badate al significato. Non è solo: “Non avrai relazioni carnali con la moglie del tuo prossimo per contaminarti con lei”, è un cambiamento, che prima avviene qui,” il don si toccò la fronte, “poi qui,” si batté il pugno sul cuore, come in confessione, “poi… avete capito”.
Dei risolini mostrarono come la sala si era svegliata, perfino il russatore.
“Badate, dunque, a questi cambiamenti nel vostro cuore che vi alterano fino ad adulterarvi. Voi oggi che vivete attaccati a quei cosi, gli smartphone, siete più esposti. Non serve nemmeno più la collega, basta guardare quel coso lì…”
Fece una lunga pausa, in cui guardò ognuno di loro negli occhi. Aveva ragione, Luca. Cosa ne poteva sapere lui? E minimo il telefono nemmeno lo sapeva usare. Tutti lì a giudicare, giudicare, giudicare…
“La prossima volta, parliamo delle scelte genitoriali e del proseguimento della vostra strada nella cristianità anche dopo il matrimonio. Perché non finisce, eh! Mica è solo per sposarsi in basilica.”
Sentì la staffilata dell’insinuazione mischiarsi alla gola secca. Doveva uscire da quell’aula. Luca le strinse la mano per farla alzare, e il tocco la fece quasi sussultare.
A casa, dopo essersi lavati i denti ognuno al proprio lato del lavandino, si chiuse in bagno per la beauty routine.
Consisteva nello struccarsi, nel mettere un filo di crema notte, la lozione per far crescere le sopracciglia – non stava funzionando – e nel sedersi sul water con il cellulare in mano.
Aprì Instagram e cercò trav_with_dav. Non appariva nella lista della lente virtuale, perché tutti i giorni, al risveglio, cercava almeno tre volte altri quattro profili – cucina, life style, Repubblica – con l’intento di farlo scendere nelle ricerche.
Il sorriso di Davide la raggiungeva dai quadrati di foto a tre a tre con una vampa al ventre. Era ancora bravo? Da quando aveva scelto di non seguirlo nella sua vita raminga, in cui non voleva in modo categorico bambini, poteva vederlo solo lì. Ignorò le ultime fotografie, in cui appariva Blanca, messicana, bionda – una messicana bionda? – ricca anche, perché era sempre in viaggio. Cliccò sulla sua foto preferita: era a petto nudo, la mano destra sull’addominale appoggiato a una jeep, nel deserto di Atacama. Iniziò a sfregare le dita sugli slip, con gli occhi fissi in quelli della fotografia, fingendo che anche lui lo facesse, guardando un suo scatto in Sardegna ma il piacere quella sera non arrivò. Dopo qualche minuto si arrese all’insoddisfazione. Era colpa del don, della sua alterazione. In fondo non faceva niente di male, si ripeteva.
Tornò in camera, Luca era ancora sveglio, intento a smanettare col cellulare: “Ho cercato le peonie. Belle, facciamo quelle”, disse.
“Piacciono un sacco anche a me.”
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