Racconto di Simona Franchini
(17 febbraio 2021)
Lui la notò mentre lei stava entrando in un bar che dava sulla piazza principale. Lì la gente si era accalcata, vedendo il sole spuntare dopo una giornata piovosa. C’era un vociare irrequieto, risate e schiamazzi riempivano quello spazio, rimasto silente fino a poco prima.
Aveva una borsa a tracolla e un cappotto grigio chiaro con dei bottoni grandi e tondi che sembravano dei biscotti appena usciti dal forno. I capelli erano lunghi e sottili. Si muovevano leggiadri, seguendo il ritmo dei suoi passi. Ordinò al cameriere che stava al bancone e poi si sedette all’esterno. Si posizionò in uno dei tavolini esposti ai tiepidi raggi di un sole autunnale, appena sbucato da dietro le nuvole. Il brusio della piazza era accompagnato dalla melodia della fisarmonica suonata da un artista di strada. Gruppi di piccioni si addensavano vicino ai piedi delle persone sedute, sperando di ingoiare qualche briciola che cadeva dalle bocche sazie dei clienti.
Lui si mise in un tavolino poco distante, tirò fuori dalla giacca gli occhiali da sole e ordinò un caffè.
Lei, con un fare noncurante, accavallò le gambe lunghe e affusolate che sporgevano dalla gonna corta e pieghettata. Si sistemò per bene, in quella posizione, con la schiena dritta ed il collo lungo, sembrava la statua di una divinità greca. Cominciò a leggere il giornale e a dare ogni tanto un’occhiata in giro, come se aspettasse qualcuno. Poi ci fu quel gesto che la rese complice di una sensualità voluttuosa: incominciò ad attorcigliarsi i capelli con la mano sinistra. Aveva le dita lunghe e affusolate e delle unghie laccate di un rosso acceso. Il suo indice si muoveva con una disinvoltura che sembrava volesse danzare in tondo sulle note della fisarmonica. Vedendo quella scena, lui decise che il suo desiderio di conoscerla non poteva più essere trattenuto. Quando notò che estraeva dalla borsa una sigaretta, ne approfittò per avvicinarsi.
«Scusi ha da accendere, per favore?»
Lei si voltò con fare annoiato, come se non volesse essere disturbata.
Rimise la mano nella borsa e tirò fuori un accendino di colore giallo.
«Ma scusi, la sigaretta non ce l’ha?
Lui avvampò in viso, perché non aveva mai fumato in vita sua.
Farfugliò qualcosa di non comprensibile e poi disse:
«E’ per il mio amico che è dentro al bar, glielo riporto subito.»
«Guardi che dentro non si può fumare, che venga fuori il suo amico!» rispose divertita.
A quel punto, lui non seppe cosa dire e rimase davanti a lei, impalato, con l’accendino in mano.
Lei, a sua volta, aveva capito che questo era uno di quegli spasimanti poco esperti, che tentano approcci improvvisati e poco coinvolgenti, ne aveva incontrati tanti all’università. Si sistemò la maglia a rombi, che era salita, scoprendole la pancia piatta, e, ricominciò a leggere il giornale con disinvoltura.
Ad un certo punto, lui per rompere l’imbarazzo disse:
«Lo sa che mi sembra di averla già incontrata?»
«Giurisprudenza, quarto anno,» rispose lei senza neanche guardarlo.
Anche se non rispondeva in modo affabile a quelle domande, aveva una voce sensuale e seduttiva. Poi arrivò il cameriere a portarle un the e una brioche alla crema.
«La lascio in pace adesso» disse lui e si allontanò.
Lei non lo salutò neppure e addentò la pasta con voracità. Lui la osservò un’ultima volta. Vide i denti bianchi e perfetti affondare nella basta e procurare la fuoriuscita della crema.
Si allontanò verso il suo tavolo, bevve il suo caffè che era diventato freddo e si pentì di essersi iscritto a economia.
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