Racconto di Alfredo Panzini

 

L’elegante deputato Pier Luigi Petrucci non poté fare a meno di ricevere quella mattina i coniugi Antonio e Cleopatra, come diceva il biglietto. Erano già stati tre volte allo studio.

— L’onorevole è ancora a Roma, – aveva risposto la gentile dattilografa. – Se desiderano conferire col suo sostituto….

— No, proprio con lui personalmente.

Ora l’onorevole era tornato.

A dire il vero, l’on. Petrucci avrebbe volontieri fatto a meno di ricevere tanto Antonio e Cleopatra, quanto gli altri clienti.

Egli avrebbe avuto bisogno di due mesi di completa tranquillità per condurre a termine un suo lavoro su le rappresentanze proporzionali, compreso il voto anche alle donne.

Ma come si fa?

Era lo studio legale che, sino allora, almeno, aveva alimentato di olio e benzina il motore della sua vita politica, e non viceversa, come malignano gli ignoranti.

— Dunque, vengano i signori Antonio e Cleopatra.

Veramente non entrò che Cleopatra.

Il gabinetto particolare dell’onorevole era piccino, elegante, fine come lui.

Ma quella donna lo ingombrò.

Era una signora di inusitata mole: impennacchiata, frusciante di seta. Ma un omettino sudicetto, vestito di nero, si smascherò dietro Cleopatra.

Doveva essere Antonio.

— Voi siete proprio l’onorevole deputato Pier Luigi Petrucci? – domandò strisciando su gli erre la signora e posando sul tavolo una tozza mano, carica di brillanteria.

— Io sono quel desso, – disse l’avvocato con una sua non illepida smorfia del volto, la quale corrispondeva ad un riso interiore.

— E loro, – domandò egli alla sua volta, – si chiamano realmente Antonio e Cleopatra?

— Legittimi coniugi, – disse l’omarino sudicio, del quale non si vedevano gli occhi, nascosti come erano dietro le lenti nere, ma si vedeva la bocca nera. – Legittimi coniugi, e abbiamo i documenti….

— Dicevo perché Antonio e Cleopatra….

— Cleopatra, veramente, – disse l’omarino che parlava flautato e dolce, – xe un antico nome di battaglia.

All’espressione antico nome, gli occhi di Cleopatra dardeggiarono Antonio.

— Ciò! – esclamò Antonio. – All’avocato se ghe dixe tuta la verità.

— Causa di separazione legale? – domandò l’avvocato.

— Niente, niente separazione legale, – disse l’omarino.

— Allora si accomodino.

Ma dove?

Antonio trovò un’esile sedia inglese, dove delicatamente si posò: ma Cleopatra….

Un intuitivo esame su la forza di resistenza delle sue sedie inglesi fece togliere in fretta all’onorevole alcuni incartamenti, posati su una poltrona, presso di lui.

— Qui, signora.

La signora calò e si calibrò un po’ strettamente nella poltrona; ma l’avvocato si sentì a disagio: la di lui personcina elegante era sotto la irradiazione minacciosa di quella massa di adipe, trasudante profumi; vivificata da due occhi neri sfacciati.

— Ebbene, di che si tratta? – domandò l’onorevole.

— Parlo me, – disse Cleopatra.

— Scusante, lassa far a mi, lassa parlar a mi, – disse Antonio.

— Si decidano.

— Allora, – disse Cleopatra, – parlare mio marito; lui parlare bene italiano.

E Antonio cominciò allora:

— Ci ha mandati da lei l’avvocato Mastropaoli. Veramente l’avvocato Mastropaoli ha detto: «Cari amici, questa pratica non c’è che un onorevole che ve la possa disbrigare, perché la xe de caratere politico. Io non ce ne posso».

— Però, – interruppe Cleopatra, – ha ben potuto prendere mille franchi, di cui mancano esatte notizie.

— Tasi ti, contrasta! – rimbeccò Antonio. – I denari i va e i vien. I xe avocati: xe el so mestier! Allora mi go dito alla mia signora: «Trovato!» «Chi?» L’avvocato Petrucci: el xe onorevole, el xe giovane, el xe omo de slancio, el xe de idee moderne, el xe el nostro rappresentante. E semo venuti, ma l’onorevole el era a Roma.

— Prego di spiegare.

— Ecco qui, onorevole: queste le xe do tagiadele de mille lire l’una, – e levò con cautela e posò con riguardo due biglietti da mille sul tavolo. – Se no i basta, lu nol deve far altro che mandar un «papiè» al nominato Antonio, che son po’ mi.

— Sì, va bene, ma prego di spiegare.

— Ecco: la mia signora ed io, cioè tutti due solidariamente, ma ela xe la titolare riconosciuta, gavemo intenzion di aprire, in locale di nostra esclusiva proprietà, via Forni, numero civico 77, una casa di convegno, ma di primissimo ordine, ma del tutto rispettabile. Capisselo, vero?

— Una maison da tè, – disse Cleopatra con occhi imperturbabili.

— Diciamo allora, – disse Antonio, – una tea-room.

— Ma io che c’entro? – domandò l’avvocato, on. Petrucci.

— Mi no so se lei, – rispose con insinuante soavità Antonio, – ci vorrà entrare. Ci entrano tanti: senatori, magistrati, procuratori. Casa seria per gli adulti! C’entrano anche reverendi sacerdoti. Li conosco, li conosco tuti mi. Ma ci vuole il permesso della Questura; e proprio adesso è venuto un questore che fa il zelante, il moralista, il puritano, il reazionario.

— Con la scusa, – disse Cleopatra, – che la nostra maison è vicina a un quartiere aristocratico. Ma appunto, comme ça: anche la nostra casa è aristocratica.

— E poi, dico, onorevole, – esclamò Antonio, – non ci pare che sia ora di finirla coi privilegi dell’aristocrazia?

— Non facciamo della letteratura! – disse Cleopatra.

— Anzi facciamone, – disse Antonio, – perché l’onorevole el xe un lider della politica, e la nostra la xe una causa politica: l’avvocato Mastropaoli el ga dito: «per mettere a posto un questore reazionario ci vuole una parolina all’orecchio da parte di un deputato; ma di uno di quei deputati che sanno parlare alla Camera». Perché ella, onorevole, el se rifiuta? – domandò l’omarino nero, dolorosamente, vedendo la mano dell’onorevole Petrucci che, con dolcezza, respingeva i due biglietti da mille. – Nol pol? nol vol? Nol ga tempo? Xele poche do mila lire?

— Non tratto questi affari, – disse l’onorevole Petrucci con semplicità; ma la sua faccia esprimeva una nausea così sincera che faceva veramente onore alla sua giovinezza politica.

— Nol tratta sti affari? – domandò Antonio calmissimo.

— Non tratto.

— Allora, pardon, onorevole! Ma una domanda: Ciò! domando, – disse rivolto alla signora Cleopatra che, udendo mutati i registri alla voce di Antonio, si era voltata verso di lui, – domando, ciò! per iscarico di coscienza, perché pare che semo venuti per offendere l’onorevole….

— Lei non mi può offendere, – disse Petrucci.

— E gnanca mi me offendo. Ma domando: questa xela o no xela una pratica consentita dalle vigenti leggi?

— Perfettamente.

— E allora, onorevole, da basso xe scritto no xe scritto «Studio legale?»; questi i xe o no i xe biglietti da mille? Ella xe o no xe l’avvocato Petrucci? Se parlo mal, el me insegna. E allora perché nol vol trattar? Perché no la ghe par una pratica morale? Ma allora da basso se mete: «studio legale per le pratiche morali soltanto».

Gli occhi di Antonio non si vedevano dietro le lenti nere, ma la umiltà della sua voce era venata da sibili di insolente ironia.

— La morale non c’entra, – tagliò secco Petrucci. – C’entra la opportunità. Domani si viene a sapere che io ho patrocinato questa vostra causa, un giornale umoristico se ne impadronisce, mi mette in ballo con sotto scritto: Avvocato delle case da tè, ed io son bell’e fritto.

— Perfettamente esatto quello che el dixe, onorevole, – esclamò Antonio. – Conosco anca mi la politica; basta il morso de una formica a far cadere un gigante; ma qui no se tratta di causa: basta una parolina eloquente e amichevole all’orecchio del questore reazionario. Per conto mio, giuro su la testa della nostra Isidora, pargoletta di dodici anni ancora innocente (xe vero, Cleopatra?) che nessuno savarà mai niente.

Ma allora Cleopatra parlò ad Antonio, e disse:

— Asino, ritira nel borsino le due mila lire; – e all’avvocato disse: – Mio marito è cattivo psicologo. Voi non volete trattare l’affare, non per timore di pubblicità. Questo è un fin de non recevoir. Vi dirò io la ragione vera: voi credete che sia veramente cosa disonorevole trattare questo affare. Voi siete uomo pudico!

Allora parve all’avvocato di arrossire.

Ma in verità arrossì di avere arrossito.

— Ah onorevole, – esclamò Cleopatra, levandosi e levando verso l’avvocato Petrucci il dito con significazione, – se invece di condurre con me questo qui, lassa far a milassa parlar a mi, avessi condotto avec moi l’Irma….

— Ah, no, cara, – esclamò Petrucci. – In caso, le ragazze me le scelgo io.

— Non si resiste all’Irma, – disse Cleopatra in cui traspariva tutto il valore delle antiche battaglie: – francese come io.

E tacque.

Poi raccogliendo nella borsetta d’oro ella stessa i due biglietti da mille:

— Pensare, – disse, – che io avevo tanta simpatia per voi, quando voi facevate quei magnifici discorsi, con quelle idee elevate, altamente moderne. Ho fatto votare per voi tutti i miei clienti. Ho inviato alle urne anche questo macacco di mio marito. Sinceramente, voi mi avete disillusa, onorevole.