Racconto di Ida Baccini

 

— Date un’occhiata all’orologio di salotto, Anna Ivànovna: che ora abbiamo?

— È già la quarta volta che mi fate lo stesso discorso, Atanasio Petróvitch: mancano tuttavia tre quarti a mezzogiorno.

— Tre quarti! Hum! … Siete sicura, Anna Ivànovna, che l’orologio non sia indietro?

— Indietro? il vecchio orologio? l’orologio del mio povero babbo? Siete pazzo! Non ha mai ritardato un sol minuto!

— Non bisogna impermalirsi per queste sciocchezze, Anna Ivànovna: vuol dire che avremo ancora tre quarti d’ora d’aspettativa… L’ho qui il cilindrino d’oro: l’ho fatto rivedere dall’orologiaio Boròf, il quale l’ha trovato in bonissimo stato, come quando me lo vendé. E oggi il bell’orologino andrà certo a uno di quei ragazzi… Ci avete preparato un bel desinaretto, Anna Ivànovna, nel caso che… nel caso in cui…?

— Da quando in qua vi preoccupate tanto del desinare, Atanasio Petróvitch? Il desinare è una cosa che riguarda me sola: voi non dovete pensare che a fargli onore. Mettete l’animo in pace. Vi sarà da mangiare, vi sarà da bere…

— Alla salute di…

— Sì, di chi! Io me lo figuro a che cosa pensate, Atanasio Petrovitch. Voi sperate che la Sancia abbia ad averlo lei il primo premio: la Sancia, si sa, è il vostro occhio dritto: è lei che vi sta sempre accanto, mentre Alessandro m’aiuta nelle faccende di casa. Ma io ci scommetto che il premio… Già può darsi che non l’abbiano nessuno dei due; e allora? Che direste allora, Atanasio?

— Ci vorrebbe pazienza, Anna Ivànovna: sono giovani e potranno meritarlo l’anno venturo. Io avevo loro promesso l’orologino per incoraggiarli… Ve ne ricordate, Anna, della nostra povera Nadéžda, e della sua contentezza, quando le regalammo questo cilindro?

— Oh se me ne ricordo! — disse Anna Ivànovna, intenerita da quelle rimembranze. — Povero angelo! A quel tempo, voi soffrivate già de’ vostri dolori reumatici, e non poteste venire alla distribuzione de’ premi. Io c’ero, Dio mio! Che cosa provai quando quel bel signore decorato proferì ad alta voce il nome della nostra Nadéžda! Quando la vidi salire quegli scalini ricoperti di tappeti, e ricevere il primo premio! Chi se la strappava di qua, chi di là; e lei, la cara piccina, mi sorrideva da lontano!

— E voi non steste ad aspettare la fine della cerimonia, Anna Ivànovna: ma correste subito da me a darmi la gran notizia.

— Sì: e la contentezza vi fece scordare i dolori reumatici, perché correste subito dall’orologiaio. E quando la Nadéžda tornò a casa, voi le metteste al collo il bell’orologino! Come era contenta, la poverina! E perfino negli ultimi giorni della sua malattia, mi faceva segno, tutte le sere, di caricarglielo…

L’Anna Ivànovna piangeva.

— Dio l’ha voluta per sé, povera moglie mia, disse affettuosamente Atanasio Petrovitch: egli ci ha lasciato altri figli; e ora abbiamo la consolazione di vederci crescere sotto gli occhi anche i nostri nipotini. La Sancia è il ritratto della Nadéžda, non vi pare?

— Oh! ci corre! La Nadéžda era più bellina. Guardatela, lì nel quadro, con quei bei capelli sulle spalle, con quegli occhi così neri e profondi! Non pare una signorina? Alessandro, sì, che si può dir bello! somiglia tutto suo padre, il nostro Niccolò: e Niccolò, sia detto senza superbia, ritira proprio da me, quand’ero giovane, s’intende… Vi ricordate…

— Eccoli, eccoli! — interruppe Atanasio Petrovitch, che cominciava a sentirsi imbarazzato. — Correte dunque ad aprire, Anna!

Atanasio Petrovitch non aveva potuto sentirli, i nipotini: ma li aveva indovinati, poiché quando Anna si affacciò alla porta, li vide scantonare allora allora, insieme colla loro mamma, la moglie del bel Niccolò.

— Son loro! — urlò la nonna al marito.

Ed il vecchio Atanasio Petrovitch, nonostante la voglia i che ne avrebbe avuta, non si mosse dal suo seggiolone per andare incontro ai nipotini: la sua dignità di nonno lo costringeva a rimaner lì inchiodato, e ci rimase. Non potendo far altro, si contentò di mettersi la mano in tasca dove c’era l’astuccio coll’orologio, e di ripeter mentalmente questo piccolo discorsino: — «Cari bambini, io aveva promesso di regalare l’orologio della povera Nadéžda a chi di voi due avesse riportato il primo premio. Esso tocca dunque a te — il nome restava in bianco — a te, che sei la gloria e la consolazione della famiglia.»

Atanasio era discretamente contento del suo discorsino: ma a chi sarebbe indirizzato? forse a nessuno. I due fanciulli avevano ingegno, ma ce n’erano tanti, nel paese, più bravi di loro! Eppoi quei benedetti esami non decidono mai del vero merito d’uno scolaro… Ma Sandro! Era pure spiritoso, e svelto e accorto! Lui le cose le imparava subito alla prima! La Sancia aveva meno ingegno, ma era più studiosa e raccolta: essa era la favorita del nonno, come Sandro era il favorito della nonna. L’Anna Ivànovna lo aveva caro perché cresceva forte e gagliardo, perché l’aiutava nelle faccende più faticose, le attingeva l’acqua, le spezzava le legna: Anna era una donnina piccina, un vero gingillo, e perciò teneva in gran conto la robustezza e La forza fisica. La Sancia, invece, era una creatura debole, gracile, pallida, che passava tutte le sue ore seduta in un canto, a leggere o a cucire.

L’uscio si spalancò e la Sancia comparve, poi, subito dietro a lei, la mamma e Sandro, il quale si guardava la punta delle scarpe: aveva una cert’aria di malumore, che non prometteva nulla di buono. La Sancia teneva in mano un gran letterone pieno di sigilli.

— Eccolo, nonno, il primo premio! — esclamò tendendo il foglio ad Atanasio Petrovitch.

— Davvero! tu, cara! Il primo premio! Ah! povera, adorata Nadèžda… Sancia volevo dire… ma, vedi, questa cosa mi ringiovanisce di trent’anni. Lesti, i miei occhiali, per ch’io possa vedere, leggere… Dove sono i miei occhiali? Ah! gli ho sul naso… Benissimo! Un foglio compagno a quello che fu dato alla Nadèžda… ce lo devo avere nel cassettone, è ingiallito, quello, ma… è proprio eguale. Eccoti dunque l’orologio, Sancia mia!

L’abbracciò, la baciò, le mise tra le mani l’orologino e tentennò il capo con aria soddisfatta. La bambina, allora; si voltò dalla nonna, per ricevere le felicitazioni.

Ma Anna Ivànovna, tutta intenta a schiumare la marmitta, faceva le viste di non vederla. La Sancia si sentì come un gran nodo alla gola, e fu lì lì per piangere. — Nonna, — disse timidamente.

Anna Ivànovna si voltò, e vedendosela così vicina, si vergognò della sua indifferenza. — Brava bambina, — le disse dandole un bacio, — hai avuto il premio? Ci ho proprio piacere!

— Sì, nonna, l’ho avuto. Ma Sandro aveva fatto il compito anche meglio di me! È stato per via di un piccolo sbaglio in fondo alla pagina… Se egli avesse avuto la pazienza di rileggere il componimento, il premio era suo!

L’Anna Ivànovna rimase pensierosa: il viso lungo di Sandro e soprattutto il suo silenzio le dicevano troppo eloquentemente che la generosa bambina mentiva.

— Perciò, nonna, — proseguì la Sancia, l’orologino tocca a lui. Eppoi lui è un uomo e gli si addice di più… Nonna, cara nonna, me lo volete un po’ di bene, anche a me? — E queste ultime parole le disse adagino, colle labbra tremanti. Anna Ivanovna la guardò… — Ah mio Dio! — esclamò, avevate pur ragione, Atanasio Petrovitch! Questa bambina è il ritratto personificato della povera Nadèžda!!