Racconto di Alessia Algani

 

L’immagine di un “tuffo” nel cuore di un quartiere che lascia affiorare un lato nascosto…

 

 

Una mattina d’agosto languida e bollente, di quelle dove ti penseresti ovunque tranne che in città. Eppure, in quelle ore accecate dal sole, Milano mi pareva bellissima; così pigra e disarmata non l’avevo vista mai. Mi tuffai nell’acqua fresca della piscina all’aperto, un impianto anni ’30 nel quartiere di Città Studi, e nuotando avanti e indietro a bracciate lente fantasticai di percorrere la città fino a casa grazie a un’immaginaria sequenza di piscine, come il protagonista del mio racconto preferito di John Cheever. Decine e decine di specchi d’acqua di ogni forma e dimensione: piscine minuscole e gigantesche, sottili e panciute, essenziali e barocche, squadrate e sinuose, vuote e affollate; per passare dall’una all’altra avrei dovuto percorrere a piedi nudi pochi metri soltanto, lasciando sull’asfalto rovente una breve scia di piccole impronte bagnate. Così, vista dall’alto, la città sarebbe stata un mosaico iridescente di tessere celesti, turchesi, verdi, indaco e color cobalto. Issandomi sul bordo dell’ennessima vasca del mio sogno con le braccia ormai indolenzite, riconobbi all’istante una strada di cui conoscevo a memoria ogni passo. Sorrisi: ero arrivata a casa.