Racconto di Abramo Vane

 

Era la mia vicina di banco, era una ragazza uccello, e la sua bellezza per la mia giovane anima fu un vortice fin dal primo giorno di scuola, io cercavo esperienze, e invece davanti a lei ammutolivo, ero confuso … E quella ragazza uccello l’avevo già vista una volta, l’estate prima, al fiume, c’era un gruppo di giovinette e con loro tre o quattro suore di un istituto, passeggiavano con i piedi nell’acqua, i sandali nelle mani, allineate nei loro colori azzurro e bianco, e in quell’insieme di corpi, dall’altra parte del fiume, io vedevo il suo petto risplendere al sole, e lei si staccò dalle compagne, e procedeva da sola, più indietro, aveva le gonne rimboccate ai fianchi e si chinava a raccogliere sassetti nell’acqua, li afferrava con le labbra a forma di becco e li lanciava in alto per giocare, scuoteva il lungo collo e dai capelli si staccavano gocce d’acqua tutto attorno, e camminava con passo lento, le sue gambe erano magre, e poi affrettò il passo, prese a correre e raggiunse le compagne, le sorpassò e tutte si misero a rincorrerla, e gridavano di gioia, lei volava radendo l’acqua e dietro uno sciame uniforme, e anche le suore correvano con le ragazze, e scomparvero alla vista, laggiù all’ansa del fiume…

E quel primo giorno di scuola, nella confusione degli studenti, la riconobbi da dietro, dalle ali raccolte sotto la giacca e l’immagine di quella volta al fiume era fissa nella mia mente, quell’immagine era un sogno che non si dimentica… e ogni giorno lasciavo i libri a casa e così avevo una scusa per avvicinarmi al suo banco e seguire la lezione, mi sedevo lì accanto e non facevo che tremare, tutti i ragazzi erano innamorati di lei, e un giorno mi decisi, da tanto tempo preparavo le parole, e la toccai con una mano sulla spalla, era un giorno di pioggia, aveva le piume ancora umide, si voltò verso di me e mi guardò con i suoi occhi che erano gli occhi di un uccello, ebbi paura, le sorrisi appena e lei avvicinò il suo viso al mio e mi diede un bacio su un sopracciglio, e il sangue mi gocciolò nell’occhio, alla sera nello specchio guardavo quel segno, e quella cicatrice l’avrei portata per tutta la vita…e la mattina dopo mi alzai e sentivo di essere speciale, ero unico, e non temevo più la bellezza della ragazza uccello, ma il suo banco era vuoto, e tutta la settimana rimase così, nessuno sapeva niente, e allora andai dritto in presidenza, anche lì non avevano notizie, ma sul registro, accanto al suo nome, qualcuno aveva scritto che era volata via.

 

illustrazione di Renato Pegoraro

 

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