Racconto di Giuseppe Lipparini

 

Lily Fioretti ed io capitammo un giorno, per caso, nella canonica di un curato, e vi fummo ricevuti con tutti gli onori. Questa è la verità, per quanto possa sembrarvi stravagante. Infatti, io sono un libertino consumato, e Lily è la naturale amica dei libertini.

Noi non pensavamo certo al Paradiso, quel giorno, quando scendevamo velocemente sulla mia automobile rossa la strada tortuosa che dal valico di Sant’Agostino scende alla pianura lontana, lungo un bel torrente fra selve di castagni e boschi cedui di faggi. Lassù, ci eravamo inebriati d’aria e di luce, davanti alla vista maestosa dell’Alpe Apuana, irta e nuda come la roccia dei cerchi danteschi; e anche Lily Fioretti, che non è una stupida, davanti a quelle bellezze aveva dimostrato di esser quasi intelligente. Dopo il desinare, la grande scena dei monti si era subito oscurata e il cielo si era coperto di nuvole nere. Poi il temporale scrosciò. Verso le cinque la furia dell’acqua cessò. Allora, benché fossimo certi di arrivare in città molto tardi, partimmo. Ma era destinato che non dovessimo tornare per quel dì. Avevamo fatto appena metà della discesa quando il motore cominciò ad avere qualche scoppio irregolare. Poi il meccanico fermò di colpo la macchina, scese svelto, aperse il cofano, scrutò fra gli ordigni oleosi, sollevò il volto abbuiato:

— La frizione! – E pronunziò questa parola con lo stesso tono d’un innamorato che discorra di una bella donna cara che gli sfugge.

— La frizione? – interrogai io, ansioso e annoiato. Ma egli fece un gesto desolato.

— Ebbene? – domandò Lily Fioretti, sbadigliando; – dovremo star fermi un pezzo?

— Il tempo – risposi io – di scendere in città (a piedi o con un cavallo s’intende) e di tornar su col pezzo di ricambio.

— Ma verrà buio! – ella quasi gridò, guardando il cielo in cui il temporale di nuovo si accumulava.

— Verrà anche l’alba! – risi io, per consolarla. – Modena è a settanta chilometri, e questa plaga non ha ferrovie.

Allora ella si disimpacciò dalle coperte, e balzò leggera come quando salta i cerchi di carta sul dorso dei vecchi corsieri del circo.

— E noi, che cosa faremo, qui, all’aria aperta? – gridò disperata, facendo quasi l’atto di graffiarmi il naso.

Intanto il meccanico consultava la carta del Touring.

— Il paese più vicino è a nove chilometri; ma a un chilometro di qui ci sono due case e una chiesa. Le ho notate passando, perché erano tutte imbandierate.

— Allora – dissi io – corriamo là a piedi, prima che ripiova. Potremo anche trovare un paio di buoi per trascinare fin là questa macchina traditrice.

E ci avviammo tutti e tre, fra le scuse del meccanico e il borbottio iroso di Lily, che tremava di terrore al solo pensiero di stendere le sue morbide carni e la sua pelle delicata in un letto umido e, ahimè, forse abitato. Io tacevo, e dentro di me ridevo, perché le avventure mi piacciono e perché dai miei studi liceali conservo qualche lontano ricordo di filosofia.

Finalmente a uno svolto apparvero due case miserabili con una chiesetta bianca a cui si addossava una vasta canonica.

— Siamo in salvo! – esclamai, tanto più lieto in quanto le nubi si erano ancora abbassate, e la pioggia ricominciava a cader con violenza. – Avanti! – e a testa bassa corremmo giù, e balzammo dentro la prima soglia che incontrammo, con un sospiro di sollievo.

— Entrino, entrino! S’accomodino! – balbettò una voce fessa. – Li ho veduti scendere di corsa; ma buon Dio, che tempo!

Allora ci guardammo intorno e vedemmo che eravamo nell’ingresso della canonica. Io cominciavo a far le mie scuse; ma la vecchia serva non ci lasciò parlare:

— Il signor curato è in chiesa. Lo vado subito a chiamare. Come sarà contento!

E scomparve. Eravamo in una saletta disadorna ma pulita, con le pareti coperte di oleografie e di vecchie litografie colorate. Ci erano le allegorie dei sette peccati mortali e quelle dei sette sacramenti; ne mancavano le due figurazioni della morte del giusto e della morte del peccatore.

— Io comincio a temere che il diavolo mi venga a portar via – mormorò Lily tra il serio e il faceto.

— Anzi; puoi stare sicura: non sei in luogo santo?

Ma un rumore di passi risonò, e il curato apparve. Era un bel giovane alto e membruto coi capelli fulvi quasi rossi, e la faccia franca e leale. Si precipitò incontro a me, stringendomi la mano come a un vecchio amico. Le donne non entravano nel suo programma, perché davanti a Lily s’inchinò a pena:

— Vengano qua, nel mio salottino. Elisa, perché non li avete fatti accomodare prima?

Io mi scusai del disturbo, e gli esposi come stavano le cose. Il paese più vicino era viceversa ancora lontano; ci si poteva forse arrivare con un cavallo, ma…

— Ma con quest’acqua! – esclamò egli alzando gli occhi al cielo. – No, no, – continuò gaiamente, – non c’è che una soluzione: lei e la sua signora resteranno qui.

Le gote di Lily ebbero un guizzo. Io confermai:

— Infatti, è quello che pensavamo di fare. Bisogna dunque che ella ci aiuti, e ci trovi, non dico un albergo, ma almeno una camera pulita…

— Ma le pare? – interruppe battendomi la mano su la spalla con una confidenza deliziosa.

— Resteranno qui, a fare un poco di penitenza e a farmi compagnia. Capita così di rado…

Io protestai debolmente, mentre a Lily le gote guizzavano più forte.

— No, non c’è rimedio; è un preciso dovere del mio ministero: dar da bere agli assetati, dar da mangiare agli affamati, ricoverare i pellegrini…

E rise con un bel riso ampio e chiaro, di cui Lily subito profittò per sfogarsi a ridere a crepapelle, così forte che i bei seni tondi le danzavano sotto la camicetta sottile. Ma il buon prete non se ne adontò; anzi si compiacque del proprio spirito, ed essendosi fregate le mani uscì con il meccanico per mandare il contadino e i buoi a portar giù la macchina abbandonata.

— Che brava persona! – dissi io rivolto a Lily, che terminava allora di ridere.

— E che bel giovane! – aggiunse ella imprimendo alle sue labbra un gesto poco canonico.

— Per carità! – scongiurai. – Se se ne accorge, ci mette sulla strada; con questo tempo!

— Sta tranquillo; all’occasione, so far quasi la signora per bene. A proposito, non mi hai neppure presentata.

Lo feci poco dopo, quand’egli rientrò con due bottiglie coperte di muffa vetusta. Io ero – e non mentivo – il conte Luigi Bertoldi, e Lily era mia moglie.

— Bevano! – invitò. – Intanto l’Elisa prepara un boccone, così alla buona. Che vuole? Siamo segregati dal mondo; ma polli, ova e paste ce n’è sempre in quantità, con l’aiuto del Signore.

Il tonfo della bottiglia stappata si confuse con lo scoppio vicinissimo del fulmine.

— Poveri i miei parati! – esclamò egli, mentre versava il buon vino spumante.

— È vero: che festa c’è? – domandò Lily.

— Si figurino, – egli rispose, – che domani avrò la visita pastorale. Viene Sua Eccellenza il nostro Vescovo a visitare la mia canonica, e ci resterà due giorni. Così, domani, si farà festa; verranno tutti i parrocchiani dai monti, e si accenderà qualche girandola.

— E il vescovo sarà ospite qui, in canonica?

— È naturale – confermò il curato. – È un diritto per lui, e un onore per me.

Oh, buon vinetto frizzante e dolce, più grato e migliore di ogni più raro «champagne», quando ti riberrò? Oh, mio semplice e giocondo ospite da cui il male è così lontano che neppure lo puoi sospettare, quando ti rivedrò? Oh, vecchio orologio a torre che quella sera mi scandisti alcune delle più gaie ore della mia vita, quando ti riudirò?

Il pranzo fu lieto. Il mio ospite aveva perduta la timidezza di prima, e rideva e scherzava anche con Lily, la quale, alle volte, si lasciava scappare qualche frase, poco ortodossa.

— Queste signore! queste signore! – borbottava benevolmente. – Eh, la città è una grande corruttrice: anche le signore per bene entrano in certi discorsi di cui si vergognerebbero le nostre. Ma forse hanno ragione loro: noi siamo poveri tangheri che non c’intendiamo di nulla.

E poiché il vino era molto e squisito, la conversazione si allungò, al fioco lume della lampada a petrolio. Lily si era adagiata sull’ottomana in un atteggiamento che a lui dové sembrare molto cittadino perché le voltò educatamente le spalle, e continuò con me una discussione sui benefici della vita solitaria e della castità.

— Io non ho desideri: faccio una vita attiva e faticosa: corro i monti il giorno e talvolta anche la notte. Ho i muscoli di acciaio: con un pugno abbatto un bue, e se stringessi forte uno fra le braccia, le assicuro che….

Lily si alzò di botto; ed io sentii freddo alla radice dei capelli, pensando che le fosse venuta la voglia di fare l’esperimento. Ma non disse nulla, benché avesse negli occhi un ardore insolito. Considerai che era opportuno correre ai ripari:

— È tardi, – osservai. – Abbiamo già troppo disturbato il signor curato, e sarà ora di andare a dormire. Egli non fece complimenti: aveva sonno anche lui.

— Se permettono, faccio strada io. L’Elisa è già andata a riposare.

Così lo seguimmo sino al primo piano per la scala di legno che scricchiolava. Ma la camera ch’egli ci aveva fatto apprestare era bella e spaziosa: le finestre avevano i baldacchini di broccato, e l’ampio letto mostrava una ricca coperta di seta sulla quale erano stati rimboccati i lenzuoli di tela finissima con gli orli ricamati. Un lusso, insomma, che ci stupì.

Egli notò il nostro stupore, e ci spiegò:

— Ecco: come loro sanno, domani viene il vescovo in visita pastorale. Questa camera era stata preparata per lui; ma poiché si è data questa combinazione, vuol dire che la rinnoveranno loro…

Poi soggiunse con evangelico candore, mentre usciva avendoci augurato la buona notte:

— Quanto a monsignore, non abbiano riguardi. Domattina, muteremo i lenzuoli.