Racconto di Italo Calvino

 

Ogni volta che apriva gli occhi si sentiva addosso tutta quella luce gialla e acida dalle grandi lampade  della  biglietteria.  E  s’involgeva gli  occhi  nel bavero tirato della giacca, in cerca di buio e di caldo. Coricandosi  non  s’era  accorto  di  come  gelide  e  dure  erano  le  lastre di pietra  sul  pavimento:  ora  lame  di  freddo  salivano  a  infiltrarglisi di  sotto  al vestito  e  per  i  buchi  delle  scarpe,  e  la  poca  carne  dei fianchi  gli  doleva, pigiata tra le ossa e la pietra. Il posto però  se  l’era  scelto  bene,  in  quell’angolo  a  ridosso  alla scalinata, riparato e non di passaggio: tant’è vero che dopo un po’ch’era lì, arrivarono quattro gambe di donna alte sopra la sua testa e dissero: -Ehi, quello ci ha preso il posto. L’uomo sentiva ma non era sveglio: sbavava da un angolo della bocca sul cartone  scorticato  della  piccola  valigia,  il  suo  cuscino,  e  i capelli  s’erano messi a dormire per conto loro, seguitando la linea orizzontale del corpo. -Ben, -disse  quella  voce  di  prima,  da  sopra  i  ginocchi  terrosi  e la campana spiovente della gonna. -Si tolga. Almeno prepariamo il letto. E  uno  di  quei  piedi,  piede  di  donna in  scarponi,  lo  assaggiò  ai fianchi, come  un  muso  che  annusi.  L’uomo  si  rizzò  sui  gomiti,  annaspando nella luce gialla con palpebre smarrite ed irritate, e i capelli che non s’eran accorti di niente tutti dritti. Poi ripiombò  giù come volesse dare  una  testata  dentro la valigia. Le donne avevano tolto i sacchi di testa. L’uomo che veniva dietro posò le coperte arrotolate e cominciarono a disporsi. -Ehi, -disse la più vecchia al coricato, -alzati, almeno mettiamo anche te sotto -. Macché: dormiva. -Deve avercene  una  carica, -disse  la più giovane, una  tutt’ossi con parti grasse quasi appoggiate alla sua magrezza: seni, natiche, che le giravano su e  giù  sotto  la  vestina,  mentre  lei  si  piegava  a  stendere le  coperte,  e  a rincalzarle sotto i sacchi di farina. Erano tre della borsanera e venivano giù coi sacchi pieni e  le latte vuote. Gente che s’era fatta le ossa a dormire sul duro, per le stazioni e viaggiando sui  “bestiame”,  però  aveva  imparato  a  organizzarsi e viaggiava  con  le coperte, da mettere sotto per il morbido e sopra per il caldo, e i sacchi e le latte per cuscino. La   più   vecchia   cercava   di   passare   un   lembo   di   coperta   sotto all’addormentato,  ma dovette  tenerlo sollevato un po’”alla  volta perché non si muoveva. -Deve proprio avercene una carica, -fece la vecchia. -Forse è di quelli dell’emigrazione. Intanto  l’uomo  ch’era  con  loro,  un  magro  con  le  cerniere lampo, s’era  già ficcato tra una coperta e l’altra e tirato il purillo sugli occhi. -A lè.  Vieni  sotto:  non  sei  pronta? -disse  alle  natiche  della più giovane ancora  china  a  rincalzare  i  sacchi  per  cuscino.  Era  sua  moglie, la  più giovane,  ma  quasi  conoscevano  più  i  pavimenti  delle  sale d’aspetto  che  il loro letto matrimoniale. Si misero sotto anche le donne, e la più giovane ed il marito si strofinarono un po’”fianco a fianco facendo un rumore di brividi, mentre  la  più  vecchia  rincalzava quel  meschino  d’addormentato.  Forse  la più  vecchia  non  era  tanto vecchia,  ma  era  come  scalcagnata  dalla  vita  che faceva,  sempre con  carichi  di  farina  e  d’olio  sulla  testa,  su  e  giù  per  quei treni: e portava un vestito che sembrava un sacco e i capelli che andavano in tutti i versi. All’uomo addormentato scivolava  la testa  dalla  valigia, ch’era troppo alta e  gli  faceva  tenere  il  collo  per  storto;  lei  provò  a  sistemarlo meglio,  ma  a quello per poco non cadeva la testa in terra: così lei gli fece posare la testa su una sua spalla e l’uomo chiuse le labbra, inghiottì, s’accomodò in giù sul più morbido e riprese a sbavare, adesso in seno a lei. Erano  lì  che  facevano  per  dormire,  quando  arrivarono  tre  di Bassitalia. Erano  un  padre  con  i  baffi  neri  e  due  figlie  brune  e  grassotte, tutt’e  tre piccoli di statura, con delle ceste di vimini e gli occhi schiacciati dal sonno in mezzo a tutta quella luce. Sembrava che le figlie volessero andare da una parte e lui dall’altra e così litigavano, senza guardarsi in faccia e quasi senza parlare, a furia di brevi frasi addentate, e un fermarsi e avanzare a strattoni. Scoprirono  il  posto già  occupato  da  quei  quattro  e  rimasero  lì  sempre  più smarriti,  finché non  li  raggiunsero  due  giovanotti  in  mollettiere  e  con  le mantelline a tracolla. Subito i due misero in mezzo i bassitalia, per convincerli a mettere tutte le coperte assieme e sistemarsi tutt’uno con quei quattro coricati. I giovanotti erano due Venezia che emigravano in Francia, e fecero alzare i  borsanera  e  ridisporre  tutte  le  coperte  in  modo  da starci  quanti  erano.  Si capiva  che  era  tutta  una  manovra  per  toccare seni  e  natiche  a  quelle  due ragazzotte mezz’addormentate, ma alla fine erano tutti a posto, compresa la più  vecchia  dei  borsanera  che non  s’era  mossa  perché  aveva  quella  testa d’uomo   addormentato che   le   dormiva   in   un   seno.   I   due   Venezia naturalmente  s’erano  presi in  mezzo  le  ragazze,  lasciando  da  parte  il bassitalia; ma, armeggiando sotto quelle coperte e mantelline, riuscivano ad arrivare con le mani anche alle altre donne.

Già  qualcuno  russava,  ma  il  bassitalia  non  riusciva  a  dormire, pur  con tutto  il  sonno  che  gli  pesava  addosso.  Il  giallo  acido  di quella  luce  lo perseguitava  fin  sotto  le  palpebre,  fin  sotto  la  mano che  gli  tappava  gli occhi;  e  il  grido  disumano  degli  altoparlanti:  …accelerato…  binario… partenza… lo teneva in continua inquietudine. Poi aveva  bisogno d’orinare,  ma  non sapeva dove  andare  ed aveva paura di perdersi  in  quella  stazione.  Finì  per  decidersi  a  svegliare uno  e  prese  a scuoterlo: era quel disgraziato che dormiva lì fin da prima. -La  latrina,  compare,  la  latrina, -diceva,  e  lo  tirava  per  un  gomito, da seduto in mezzo a quella distesa di corpi avvoltolati. L’addormentato finì per alzarsi a  sedere di scatto e spalancò i rossi occhi nebbiosi  e  la  bocca  gommosa  su  quella  faccia  chinata  sudi  lui,  quella piccola faccia da gatto, grinzosa e coi baffi neri. -La latrina, compare… -diceva il bassitalia. L’altro restava attonito, si guardava intorno con spavento. Rimasero  tutt’e  due  a  guardarsi  a  bocca  aperta,  lui  e  il  bassitalia.  Quello sempre  addormentato  non  capiva  niente:  scoprì  la  faccia  di  quella donna, per terra sotto di lui, e la fissava pieno di terrore. Forse era lì lì per dare un urlo.  Poi  tutt’a  un  tratto  riaffondò  la  testa  nel  seno della  donna  e  ripiombò nel sonno. Il  bassitalia  s’alzò  calpestando  due  o  tre  corpi,  e  prese  a  muovere passi incerti per quel grande atrio luminoso e freddo. Di là delle vetrate si vedeva il buio limpido della notte e paesaggi di ferro, geometrici. Vide  un  brunetto  più  piccolo  di  lui  con  la  guappa  e  l’abito gualcito  che s’avvicinava con aria distratta. -La latrina, compare, -chiese il bassitalia, supplichevole. -Americane,  svizzere, -fece  l’altro  che  non  aveva  capito,  facendo spuntare un pacchetto. Era Bel moretto che sbarcava il lunario intorno le stazioni e non aveva una casa  né  un  letto  sulla  faccia  della  terra  e  ogni  tanto  pigliava un  treno  e cambiava  città,  dove  lo  portavano  i  suoi  in certi commerci  di  tabacco  e gomma da masticare. La notte, se finiva per aggregarsi a qualche gruppo di gente  che  dormiva  nelle  stazioni aspettando  le  coincidenze,  riusciva  a sdraiarsi  qualche  ora  sotto  una coperta,  se  no  faceva  mattino  girando,  a meno  che  non  incappasse in  qualche  vecchio  invertito  che  se  lo  portava  a casa e gli faceva fare il bagno, e gli dava da mangiare e da dormire con sé. Bel moretto era  un  bassitalia  lui  pure,  e  fu  molto  gentile  col  vecchietto  dai baffi neri;  lo portò  alla  latrina  e  aspettò  che  avesse  finito  di  orinare  per riaccompagnarlo.  Gli  diede  da  fumare  ed  insieme  fumavano  e  guardavano

con  gli  occhi  sabbiosi  di  sonno  partire  i  treni  e  giù  nell’atrio il  mucchio  di quelli che dormivano per terra. -Si dorme come cani, -disse il bassitalia. -Sei giorni e sei notti che non vedo un letto. -Un letto, -disse Bel moretto, -delle volte me lo sogno, un letto. Un bel letto bianco tutto per me. Il bassitalia se ne tornò a dormire. Alzò una coperta per farsi largo e vide la mano d’un Venezia infilata tra le gambe di sua figlia.Ci ficcò una mano anche lui per cacciarlo via e la carne di sua figlia ebbe un  movimento  molle e  il Venezia credeva  fosse  l’amico che  volesse tastare un po’”lui e lo spinse via con un pugno. Il bassitalia alzò il pugno su di lui bestemmiando. Gli altri gridarono che non si poteva dormire ed il bassitalia li  scavalcò  coi  ginocchi  per  tornare  al suo  posto  e  si  mise  sotto  la  coperta, mogio. Aveva freddo e si rincantucciò tutto: sentiva ancora intorno alla sua mano  il  caldo  che c’era  sotto  le  sottane  di  sua  figlia.  E  gli  venne  voglia  di piangere. In  quella  tutti  sentirono  un  corpo  estraneo  che  s’intrufolava  in mezzo  a loro,  come  un  cane  che  scavasse  sotto  le  coperte.  Qualche donna  gridò. Subito ci fu un affannarsi a tirar via le coperte per capire cos’era. E in mezzo a  loro  scopersero  Bel moretto  che  già  russava aggomitolato  come  un  feto  e senza  scarpe,  con  la  testa  sotto  una sottana  e  i  piedi  infilati  in  un’altra. Svegliato a pugni nella schiena, -Scusate, -disse, -non volevo disturbare. Ma  ormai  tutti  erano  svegli  e  sacramentavano,  tranne  quel  primo, che sbavava. -Qui ci si rompe le ossa, qui ci si gela la schiena, -dicevano. -Qui   bisognerebbe   spaccare   quella   lampada,   tagliare   il   filo   a quell’altoparlante. -Se volete v’insegno come farvi il materasso, -disse Bel moretto. -Materasso, -ripetevano gli altri. -Materasso. Ma già Bel moretto aveva fatto sgombrare un po’”di coperte e s’era messo a  pieghettarle  a  fisarmonica  con  quel  sistema  che  chiunque è stato  in prigione  conosce.  Gli  dissero  di  smettere,  tanto  le  coperte non  bastavano  e qualcuno sarebbe restato senza del tutto. Allora parlarono dell’inconveniente che  senza qualcosa sotto la testa non si poteva dormire e non tutti avevano qualcosa,  perché  i  canestri dei  bassitalia  non  servivano.  Allora  Bel moretto architettò  tutt’un sistema,  in  modo  che  ogni  uomo  posasse  la  testa  su  una natica o una  coscia  di  donna;  era  una  cosa  molto  difficile  per  via  delle coperte, ma  alla  fine  tutti  furono  a  posto  e ne  risultarono  tante  nuove combinazioni.  Però  dopo  un  po’”tutto  fu  di  nuovo  all’aria  perché non riuscivano  a  star  fermi  e  allora  Bel moretto  trovò  modo  di  vendere delle  Nazionali a tutti e si misero a fumare ed a raccontare di quante notti era che non dormivano. -Noi già venti  giorni  che  viaggiamo, -dissero  i  Venezia, -tre volte  che tentiamo di passare questa fottuta frontiera e ci ributtano indietro. In Francia il primo letto che vediamo è il nostro e ci dormiamo quarantott’ore filate. -Un letto, -disse Bel moretto, -con le lenzuola di bucato e il materasso di piume da affondarci. Un letto stretto e caldo, da starci solo io. -Che dire di noi che facciamo sempre questa vita? -disse il borsanera. -Arrivati a casa si passa una notte in letto e poi via di nuovo sui treni. -Averci  un  letto  di  bucato,  caldo, -disse  Bel moretto. -Nudo, c’entrerei dentro, nudo. -Sei  notti  che  non  ci  spogliamo, -dissero  le  bassitalia, -che non cambiamo biancheria. Sei notti che si dorme come cani. -Io entrerei in una casa come un ladro, -disse un Venezia, -ma non per rubare. Per ficcarmi in un letto e dormirci fino al mattino. -Oppure rubarci un letto e portarlo qui e dormirci, -disse l’altro. A Bel moretto veniva un’idea. -Aspettate, -disse, e se ne andò. Girò un po’”sotto i portici finché non incontrò Maria la Matta. Maria la Matta se passava la notte senza trovare un cliente saltava il pasto l’indomani,  perciò  non  s’arrendeva  nemmeno  alle  ore  piccole e continuava su  e  giù  per  quei  marciapiedi  fino  all’alba,  coi  capelli rossi  stopposi  e  i polpacci a fiasco. Bel moretto era molto amico suo. Nell’accampamento della stazione continuavano a discutere di sonno e di letti  e  del  dormire  da  cani  che  facevano,  e  aspettavano che  si  schiarisse  il buio  alle  vetrate.  Non  eran  passati  dieci  minuti  e rieccoti  Bel moretto,  che arriva con un materasso arrotolato sulle spalle. -Sotto, -disse, stendendolo per terra, -turni di mezz’ora, cinquanta lire, ci possono stare due per volta. Sotto, cosa sono venticinque lire a testa? Aveva  noleggiato  un  materasso  da  Maria  la  Matta  che  ne  aveva due  nel letto  e  adesso  lo  subaffittava  a  mezz’ore.  Altri  viaggiatori assonnati  che aspettavano le coincidenze si avvicinarono, interessati. -Sotto, -diceva  Bel moretto. -Penso  io  alla  sveglia.  Ci  mettiamo una coperta sopra e voilà che nessuno vi vede e potete farci anche i figli. Sotto. Un Venezia provò per primo, insieme a una delle ragazze bassitalia. La  più  vecchia  dei  borsanera  prenotò  il  secondo  turno  per  lei  e quel povero  addormentato  che  aveva  addosso.  Bel moretto  già  aveva tirato  fuori un taccuino e segnava le ordinazioni, tutto contento .All’alba avrebbe riportato il materasso a Maria la Matta e sarebbero stati a far  capriole  sul  letto  fino  a  giorno  fatto.  Poi, finalmente, si  sarebbero addormentati.