Racconto di Primo Levi
Redazione (L) Ci sono molte metafore in questo racconto, la prigionia, la libertà, il potere della mente e della suggestione, potere del potere e suggestione del potere.
La bellezza che non si può toccare, il bianco immacolato che deve restare tale, un divieto che diventa imperativo senza apparente ragione, un cerchio disegnato che diventa una prigione invalicabile.
Indipendentemente dal vero significato voluto dall’autore legato alla propria esperienza nei lager nazisti, ci si può leggere la forza del potere del dominante sul sottomesso, potere che non ha spiegazioni logiche ma che vive di suggestioni esattamente come suggestionante ed apparentemente invalicabile diventa quel cerchio di gesso disegnato a terra.
In cucina c’era un uomo molto alto, vestito in un modo che Maria non aveva mai visto prima. Aveva in testa una barchetta fatta con un giornale, fumava la pipa e dipingeva l’armadio di bianco. Era incomprensibile come tutto quel bianco potesse stare in una scatoletta così piccola, e Maria moriva dal desiderio di andare a guardarci dentro. L’uomo ogni tanto posava la pipa sull’armadio stesso, e fischiava; poi smetteva di fischiare e cominciava a cantare; ogni tanto faceva due passi indietro e chiudeva un occhio, e andava anche qualche volta a sputare nella pattumiera e poi si strofinava la bocca col rovescio della mano. Faceva insomma tante cose così strane e nuove che era interessantissimo starlo a guardare: e quando l’armadio fu bianco, raccolse la scatola e molti giornali che erano per terra e portò tutto accanto alla credenza e cominciò a dipingere anche quella. L’armadio era così lucido, pulito e bianco che era quasi indispensabile toccarlo. Maria si avvicinò all’armadio, ma l’uomo se ne accorse e disse: – Non toccare. Non devi toccare -. Maria si arrestò interdetta, e chiese: – Perché? – al che l’uomo rispose: – Perché non bisogna -. Maria ci pensò sopra, poi chiese ancora: – Perché è così bianco? – Anche l’uomo pensò un poco, come se la domanda gli sembrasse difficile, e poi disse con voce profonda: – Perché è titanio. Maria si sentì percorrere da un delizioso brivido di paura, come quando nelle fiabe arriva l’orco; guardò con attenzione, e constatò che l’uomo non aveva coltelli, né in mano né intorno a sé: poteva però averne uno nascosto. Allora domandò: – Mi tagli che cosa? – e a questo punto avrebbe dovuto rispondere “Ti taglio la lingua”. Invece disse soltanto: – Non ti taglio: titanio. In conclusione, doveva essere un uomo molto potente: tuttavia non pareva in collera, anzi piuttosto buono e amichevole. Maria gli chiese: – Signore, come ti chiami? – Lui rispose:- Mi chiamo Felice -; non si era tolta la pipa di bocca, e quando parlava la pipa ballava su e giù eppure non cadeva. Maria stette un po’ di tempo in silenzio, guardando alternativamente l’uomo e l’armadio. Non era per nulla soddisfatta di quella risposta ed avrebbe voluto domandare perché si chiamava Felice, ma poi non osò, perché si ricordava che i bambini non devono mai chiedere perché. La sua amica Alice si chiamava Alice ed era una bambina, ed era veramente strano che si chiamasse Felice un uomo grande come quello. Ma a poco a poco incominciò invece a sembrarle naturale che quell’uomo si chiamasse Felice, e le parve anzi che non avrebbe potuto chiamarsi in nessun altro modo. L’armadio dipinto era talmente bianco che in confronto tutto il resto della cucina sembrava giallo e sporco. Maria giudicò che non ci fosse nulla di male nell’andarlo a vedere da vicino: solo vedere senza toccare. Ma mentre si avvicinava in punta di piedi avvenne un fatto imprevisto e terribile: l’uomo si voltò, con due passi le fu vicino; trasse di tasca un gesso bianco, e disegnò sul pavimento un cerchio intorno a Maria. Poi disse:- Non devi uscire di lì dentro -. Dopo di che strofinò un fiammifero, accese la pipa facendo colla bocca molte smorfie strane, e si rimise a verniciare la credenza. Maria sedette sui calcagni e considerò a lungo il cerchio con attenzione: ma dovette convincersi che non c’era nessuna uscita. Provò a fregarlo in un punto con un dito, e constatò che realmente la traccia di gesso spariva; ma si rendeva benissimo conto che l’uomo non avrebbe ritenuto valido quel sistema. Il cerchio era palesemente magico. Maria sedette per terra zitta e tranquilla; ogni tanto provava a spingersi fino a toccare il cerchio con la punta dei piedi e si sporgeva in avanti fino quasi a perdere l’equilibrio, ma vide ben presto che mancava ancora un buon palmo a che potesse raggiungere l’armadio o la parete con le dita. Allora stette a contemplare come a poco a poco anche la credenza, le sedie e il tavolo diventavano belli e bianchi. Dopo moltissimo tempo l’uomo ripose il pennello e lo scatolino e si tolse la barchetta di giornale dal capo, ed allora si vide che aveva i capelli come tutti gli altri uomini. Poi uscì dalla parte del balcone, e Maria lo udì tramestare e camminare su e giù nella stanza accanto. Maria cominciò a chiamare – Signore! – dapprima sottovoce, poi più forte, ma non troppo, perché in fondo aveva paura che l’uomo sentisse. Finalmente l’uomo ritornò in cucina. Maria chiese: – Signore, adesso posso uscire? – L’uomo guardò in giù a Maria e al cerchio, rise forte e disse molte cose che non si capivano, ma non pareva che fosse arrabbiato. Infine disse: – Sì, si capisce, adesso puoi uscire -. Maria lo guardava perplessa e non si muoveva; allora l’uomo prese uno straccio e cancellò il cerchio ben bene, per disfare l’incantesimo. Quando il cerchio fu sparito Maria si alzò e se ne andò saltellando, e si sentiva molto contenta e soddisfatta.
Descrizione soggettiva ..con gli occhi della bambina..sii..
Ma con una punta di straniamento e sapiente gestione del tempo del racconto ..attraverso simvoli e metafore..