Racconto di Giovanni Bertinetti
Viaggiavo alla volta di Boston – narrò Cutt-Hardy ai suoi soliti ascoltatori – chiamato da un banchiere il quale era stato vittima di un ingente furto, perpetrato in condizioni misteriosissime.
Io avevo un vagone letto in comunione con un elegantissimo giovinotto, sino allora completamente silenzioso. Costui non mi aveva ancora gettato la più fuggitiva occhiata, nè cercato di intavolare conversazione con me.
Potete figurarvi la mia meraviglia quando ad un certo punto l’individuo, volgendosi repentinamente, mi disse con un accento pacato e tranquillo:
— Signor, Cutt-Hardy, volete fare con me una scommessa?
Io guardai stupefatto il mio strano interlocutore, nel dubbio di aver a che fare con un pazzo, ma subito mi convinsi di no.
— Quale scommessa? – domandai.
— Permettete prima ch’io mi presenti: io sono un delinquente dilettante.
— Professione molto pericolosa – risposi, sorridendo nella tema che il mio compagno di viaggio volesse burlarsi di me.
— Pericolosa per chi non la sa fare. Io sono laureato in medicina ed in legge, ho centomila lire di rendita, mi annoio mortalmente ed ho trovato per distrarmi…
— Lo sport della delinquenza?
— Io direi l’arte. Mi chiamo Walter Pryce e qual mi vedete, mi reco a Boston per mettere in pratica le mie teorie sul furto moderno.
— Oh! oh! – risposi assai meravigliato.
— Non mi giudicate pazzo, signor Cutt-Hardy. Io son convinto che in questa vita noiosa, inutile, stracca, ed assurda, l’unica occupazione rispettabile sia quella di ingannare il prossimo, il quale a sua volta altro di meglio non desidera che di venir ingannato.
— Queste teorie sono modernissime – replicai – e vi sono stati parecchi filosofi ameni che le hanno esposte in forma brillante, ma esse non hanno la mia approvazione incondizionata. Voi ne capirete facilmente il perché.
— S’intende… Voi ed io ci troviamo, per nostra scelta, ai due poli opposti. Voi difendete la società scoprendo i delinquenti ed io vi procuro i mezzi per fare queste scoperte. Ma non perdiamoci in chiacchiere. Ho atteso appunto a presentarmi a voi pochi minuti prima di smontare a Boston per evitare inutili discussioni. Io vi sfido dunque ad impedirmi di commettere domani sera, in uno dei principali palazzi di Boston, un rilevantissimo furto. Accettate la sfida?
Io guardavo perplesso lo strano compagno di viaggio.
— Voi titubate? Comprendo, voi stimate che sarebbe vostro dovere impedire fin da questo momento il mio sport. Vi prevengo però che il giorno dopo io sarò puntuale nel restituire la refurtiva.
— A queste condizioni accetto – io risposi.
Vi confesso che questo strano professore di furto non mi era punto antipatico e che la sfida mi garbava. Essa avrebbe servito a perfezionare le mie qualità indagatrici.
— Che cosa scommettiamo?
— Duemila dollari – rispose il dottore.
— Vada per duemila dollari – risposi.
— Che voi mi pagherete se riuscirò domani a commettere un rilevante furto di gioielli al ballo del miliardario Cacloy, al quale, naturalmente, voi dovete cercare il modo di intervenire per impedirmi, se potrete, il furto. Vi dichiaro, per vostra maggior comodità, che io non avrò complici. Agirò assolutamente da solo. È un mio principio indiscusso che il delinquente evoluto non deve aver complici. Signore, buona fortuna.
Dicendo queste parole il dilettante ladro mi fece un profondo saluto, scese dal vagone e disparve tra la folla frettolosamente.
***
All’indomani sera io mi facevo presentare da un funzionario altolocato alla signora Cacloy, la moglie del notissimo miliardario, che apriva appunto allora le sue meravigliose sale al fior fiore di Boston. Quasi contemporaneamente a me arrivò anche il dottor Pryce, il quale dopo avermi salutato e ricordato la scommessa andò a fare i suoi omaggi alla padrona di casa.
Ebbi allora campo di osservare la grande scienza mondana del dilettante ladro e il suo straordinario spirito nella conversazione.
Come potete immaginare, io non perdevo una sola mossa del mio avversario: lo osservavo nei suoi più fuggevoli movimenti. Egli parlò a lungo colla bellissima figlia di Cacloy, ma non mi sfuggì che la sua attenzione era specialmente rivolta alla non meno bella signora Merry.
La signora Merry era una donna sui trent’anni ma d’una gioventù ancor florida. Particolare da me subito notato fu che essa teneva al dito il più bel brillante che io mai avessi veduto. Ora era appunto questo brillante che Pryce guardava di quando in quando con una certa insistenza.
Questa insistenza mi fece per un momento pensare che il mio avversario avesse divisato di perpetrare il suo furto appunto su quel gioiello.
Però feci subito il contro-ragionamento seguente:
— Data la innegabile astuzia di Pryce, è mai possibile che egli guardi con tanta ostentazione quel brillante? Certo, se fa così è per mettermi sopra una falsa traccia. Egli vuol farmi credere che ha intenzione di rubare il brillante, mentre forse le sue mire sono altrove. Se avesse intenzione di rubare quel gioiello lo guarderebbe con meno insistenza.
Intanto continuavano ad arrivare invitati, finché le suntuose sale si popolarono in modo sfarzoso. M’era persino difficile tenere dietro al mio avversario, il quale dopo aver parlato con miss Cacloy discorreva ora con un gentleman.
Cosa rimarchevole, il dottor Pryce non badava assolutamente a me, proprio come se tra di noi non fosse corsa quella strana scommessa: ed io mi andavo domandando in qual modo egli avrebbe potuto attuare il furto. Ogni piccola mossa era da me osservata. Io andavo ripetendo tra me con una certa compiacenza: Non sarai ancora tu che giocherai d’astuzia con Cutt-Hardy!
Ad un certo punto io sorpresi un fuggevolissimo sguardo di Pryce a Mrs. Glerch, la quale aveva al collo un magnifico collier. Per me ora non v’era più dubbio: l’occhiata fuggevole era la rivelazione. Pryce voleva esercitare la sua scienza sul collier. Dunque, per prevenire il furto, bastava sorvegliare attentamente il mio egregio avversario.
Quando vidi Pryce avvicinarsi alla signora Glerch io aprii gli occhi: lo vidi stringere la mano alla signora ed intavolare una conversazione in un piccolo salotto, dietro ad un gran vaso di gardenie. In un’altra sala, per mezzo di uno specchio, io potevo osservare il più leggero movimento di Pryce. La splendida collana risplendeva, ma il ladro d’elezione non accennava a perpetrare il furto.
Ad un tratto la signora mandò un gemito, si rovesciò sul canapè come svenuta; allora vidi che Pryce si affrettò a farle aria, mentre con una mano accennò ad un servo di accorrere in aiuto.
Per un attimo la persona di Pryce mi impedì di vedere la collana, ma subito dopo egli si avanzò verso di me e mi disse:
— La povera signora ha avuto un capogiro, ma ora comincia a riaversi.
Infatti la signora Glerch rinvenne. Nessun furto era stato ancora perpetrato e la collana intatta splendeva ancora luminosissima al bel collo della milionaria.
***
Cessato questo spiacevole incidente che mise un po’ di scompiglio, la festa continuò tra le danze e gli sfarzi.
Il mio avversario continuò per tutta la serata la sua brillante conversazione sinché venuta l’ora del congedo, egli mi salutò senza accennare per nulla alla nostra scommessa. Dal suo atteggiamento io trassi la convinzione che il furto gli fosse fallito e che avevo il diritto di considerarlo un millantatore.
***
All’indomani mattina io ricevei all’albergo ove alloggiavo la visita del dottor Pryce.
Egli mi venne incontro con un sorriso trionfante e mi disse;
— Ebbene, signor Cutt-Hardy!
— Ebbene, dottore – dissi sorridendo – siete venuto a portarmi i duemila dollari?
— No – rispose con calma Pryce – son venuto al contrario a ritirarli.
— Via, voi scherzate. Avete le prove di essere quel gran ladro di cui vi vantate?
— Sì, signor Cutt-Hardy. Non credevate dunque che io potessi rubare il magnifico collier di Mrs. Glerch?
— In verità voi scherzate. Ho accompagnato a casa io stesso Mrs. Glerch ed ho benissimo veduto che ella riportò dalla festa il suo collier.
— Eppure, signor Cutt-Hardy, sono spiacente di dovervi dire che il collier di Mrs. Glerch l’ho io e che voi avete perduta la scommessa. Anzi, rechiamoci subito a restituirlo.
E sorridendo di compiacenza, Pryce trasse di tasca il magnifico collier.
Io ero sbalordito. Non mi rimaneva che una supposizione e la espressi come l’unica mia scappatoia.
— Ma questo collier è imitato!
— Al contrario, signore, questo è l’autentico: non così si può dire di quello che ora ha Glerch.
Compresi che ero stato, per una volta tanto, vittima d’un abilissimo prestidigitatore.
Nel momento in cui Pryce faceva aria alla signora Glerch il collier falso veniva sostituito al vero colla rapidità del lampo.
— Ma… – soggiunsi.
— Ne dubitate ancora?
— E lo svenimento?
— Procurato da me con un’essenza, signor Cutt-Hardy. Si capisce, non potevo mica strapparle dal collo il collier senza prendere le mie precauzioni. Che ve ne pare? Posso senza titubanza lanciarmi nei grandi affari?
— Voi siete un birbante matricolato.
Il dottor Pryce sospirò.
— Oh! se non avessi la disgrazia di esser ricco vorrei diventarlo in ventiquattr’ore. Andiamo a restituire la refurtiva e facciamoci invitare a pranzo dalla mia derubata! Intanto strada facendo potremo combinare un’altra scommessa…
La mia sconfitta fu però per me una vittoria perché mi diede campo a studiare in Pryce un nuovo tipo di delinquente, il ladro sportsman, l’uomo che prova una straordinaria voluttà a rompere la monotonia della vita col furto.
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