Racconto di Nicola Moscardelli
Dinanzi alla caserma dei soldati c’è un largo che non è piazza e non è via: a dieci passi dalla garitta della sentinella si allineano i taxi: e siccome il posto è fuori mano, i conducenti ne approfittano per fare toletta alle loro macchine, tra una corsa e l’altra. Anche le ultime botticelle, sempre più rade, si allineano proprio lungo la scarpata della caserma, nelle ore di siesta: e mentre i vetturini sbattono i tappeti o spolverano i mantici, i cavalli rodono la biada, con il capo chino a terra.
Per di più, oltre al posto così riparato, ci sono dintorno osterie, ed una fontanella con la tinozza, fatta apposta per l’abbeverata. A poca distanza, in fondo a vicoli scuri, ci sono tre o quattro ville monumentali, con i grandi parchi, i cui alberi, in più d’un punto, sfiorano i tetti delle casette a due piani del popolo.
Dapprima non ci si fa caso, ma poi si finisce con l’accorgersene: quando un conducente deve dar l’acqua al motore, gira appena il capo tenendo in mano il secchiello di gomma, e sùbito dal muro dirimpetto si stacca un uomo col cappotto sulle spalle: e come se già si fossero intesi, prende il secchiello, va a riempirlo d’acqua e lo vuota nella bocchetta del radiatore: una due tre volte va e viene, secondo il bisogno.
Se un vetturino ha necessità d’un secchio d’acqua per pulire i parafanghi della vettura, non ha bisogno di scomodarsi: il solito uomo col cappotto sulle spalle fa magari dieci volte il tragitto dalla vettura alla fontana, senza parlare, ma semplicemente, così, come se si fossero già intesi.
A mezzogiorno, spenti i motori e messi all’ombra i cavalli, gli uomini entrano nelle osterie, che a mano a mano s’empiono d’operai, muratori, meccanici e verniciatori, con il berretto di carta in capo. Attraverso i vetri delle porte, ogni volta che uno entra, si vedono gomito a gomito intorno alle tavole gremite, e il sole in un lampo illumina i volti chini e le bottiglie di vino. Altri, con la cartata della colazione sulle ginocchia, sono accosciati lungo il muro, di faccia al sole, il berretto calato sugli occhi: nelle facce brune splendono i denti bianchissimi.
La quiete del mezzodì spazia all’intorno, ed ognuno pare che abbia trovato il suo posto, e ridistenda le membra in un principio di sopore.
Tutti: ma l’uomo col cappotto sulle spalle è in piedi, appoggiato al muro, di fronte alle vetture allineate quasi che le avesse in consegna. Se un ragazzo, passando, mostra di voler toccare il volante, con una voce egli lo fa allontanare: se un cavallo scalcia infastidito, egli sa dargli un grido che lo calma.
Ora che è solo, si discerne meglio il suo viso, tondo, contornato da una barbetta grigia, e un cappellino a forma di cacio sul capo. Ha un’aria tranquilla, di uomo che non si scompone per nulla, che ne ha visto di tutti i colori, e che non ha niente da perdere fuori che il tempo. Se fa troppo freddo, batte i piedi per terra, o fa quattro passi su e giù, come un condannato. Ma se, nel posto fuori di mano, non sapete quale è la via più breve per tornare al centro, per poco che voi alziate il capo in cerca del nome della strada, sùbito lui vi si para dinanzi e vi indica quel che cercate. Se cercate il segnale della fermata dell’autobus, magari senza parere, egli vi legge in faccia il desiderio e vi indica una tabella poco lontana. Se una comitiva di gitanti, uscita da una delle ville in fondo, s’arresta sgomenta dinanzi alle vetture senza conducenti, lui li arresta prima che abbiano avuto il tempo di dirsi «andiamo a piedi», prima che si sia formata, pur nel pensiero, la semplicissima frase «è una giornata così bella, camminiamo!», e come se avesse ricevuto un ordine indica le macchine pronte, in un salto è alla porta dell’osteria, l’apre, grida «c’è gente!» ed è di nuovo dinanzi ai clienti, apre lo sportello della macchina di turno, invita a salire, richiude, mentre di corsa giunge dalla trattoria il conducente, che ha appena il tempo di volgersi a chiedere la via, che già romba il motore sotto la manovella del nostro uomo, e la macchina parte.
⁂
Chissà quale strano patto lega questi uomini a quell’uomo: e chissà per quale strana vicenda egli, ancor valido, s’è ridotto a far da uomo di tutti per quattro soldi e un piatto di minestra! Nella città grande come un mondo egli s’è scelta questa, che non è nemmeno una piazza, per suo regno, ai cui termini stanno una garitta, un muro, delle porte d’osteria ed una fontanella.
Nel lastricato così uniforme ai nostri occhi egli vede una scacchiera perfetta, in cui ogni suo passo sposta una pedina. La gente con cui egli ha a che fare non è gente abituata a pazientare: basterebbe che egli un giorno non fosse pronto come al solito, e un sostituto è presto trovato. Ne girano tanti di ragazzotti all’intorno: e basterebbe far entrare uno solo di essi nel gioco perché a poco a poco egli fosse messo da parte.
Perciò la sua indolenza è piena di acume e la sua indifferenza colma di vigilanza.
Strano mestiere, strano patto, strana vita! Certo io non l’ho mai veduto una volta accigliato o soltanto di malumore come tanti che hanno ben altri incarichi al mondo. Sempre eguale, sempre sereno, egli bilancia il secchio sgocciolante o gira la manovella del motore.
E quando egli va all’osteria, nell’ora che non c’è nessuno, se non qualche solitario bevitore che guarda il vino nel bicchiere come si guardano i miraggi nel deserto, forse l’oste serba per lui le pietanze che gli altri non hanno voluto e gliele porge di malagrazia, se pure non lo fa servirsi da sé. In disparte, inclassificabile nelle caselle dei mestieri umani, egli vive la sua esistenza irreale, tranquillamente: come un giocoliere di circo, i suoi gesti non lasciano traccia. Avventurosa vita senza avventure! Non diversamente da un borsaiolo, che attende l’attimo per infilar la sua mano nella tasca del passante, egli attende l’attimo che gli porga l’occasione di rendersi utile: e con i fili tenuissimi di questi movimenti tesse la tela della sua giornata.
Ogni giorno, quando lo vedo che si scalda al sole, vorrei anch’io sgranchirmi a quel calore, e appoggiarmi al muro accanto a lui. Ma non ho mai la forza di scalar la massiccia invisibile muraglia, che divide la sua dalla mia strada.
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