Racconto di Giovannino Guareschi

 

 

ll vecchio maestro aveva accettato l’offerta di Ringa, il meccanico, un suo antico scolaro che durante la guerra s’era dato da fare col commercio delle gomme e ora aveva in via arenna un’officina con dieci lavoranti. Così, ogni sera, un fattorino gli portava a casa un valigione con dentro i libri di contabilità, la corrispondenza da evadere, le buste paga da compilare, e il maestro sistemava tutto e la mattina dopo riconsegnava al ragazzo il valigione amministrativo. Jl vecchio maestro viveva solo: a mezzogiorno mangiava in una mensa comunale dove la cosa più sostanziosa era senz’altro il tagliando che davano alla cassa; la sera si arrangiava a casa e, rimesse a posto le carabattole della cucina, leggeva il giornale, poi apriva il valigione. Per qualche ora stava in compagnia degli operai del Ringa: operai teorici, fatti più che altro di numeri, ma i numeri dei registri amministrativi dicono un sacco di cose e raccontano tutto degli uomini. il passato, il presente, l’avvenire: se sono sani o no, se hanno voglia di lavorare, se hanno famiglia, se hanno fame, se il loro cuore può essere sereno oppure no. E così si sentiva tra amici perché erano tutti poveracci come lui: magari quegli stessi, vedendolo passare per la strada tutto pulito e col virginia in bocca, l’avrebbero guardato come un nemico. Ma questo perché essi non sapevano il numero scritto sulla busta paga del maestro. Fino a quando la legge non obbligherà tutti gli uomini a portare all’occhiello una targhettina nera con scritto in bianco la cifra del loro guadagno giornaliero, ci saranno sempre dei malintesi, al mondo, e gente che lotta per la stessa idea di un aumento di paga si guarderà come nemica. Il vecchio maestro pensava così, poi chiudeva gli operai del Ringa nel valigione, e tirava fuori dalla borsa di pelle i suoi scolari. Registri, pagelle da mettere in ordine, compiti da correggere. Quella sera cominciò tardi, e all’una di notte aveva ancora una quindicina di componimenti da leggere; ma non si affrettava, anzi pareva che cercasse tutte le scuse con se stesso per tirare in lungo la faccenda. Prima di temperare il lapis rosso e blu, il vecchio maestro aveva messo i compiti in ordine alfabetico, poi, tolto dal mucchietto un foglio, l’aveva nascosto sotto una cartella. Luigino B. doveva essere tra i primi e invece il vecchio maestro se l’era riservato come ultimo. E ora si gingillava nel corregge-re gli altri compiti perché voleva prolungare il piacere di arrivare al compito di Luigino B. Era il compito finale, il compito d’esame: egli lo avrebbe letto adagio, parola per parola, studiando con implacabile attenzione l’ortografia, la sintassi, la punteggiatura. Alle due di notte il vecchio maestro tracciò un “sette” sul penultimo compito, poi sollevò il capo e guardò Mario. «Ci siamo» disse sottovoce. Alle due di notte, quando la città dorme e l’aria è ferma, i vecchi papà possono parlare coi loro figli morti. Alle due di notte i regolamenti della logica non hanno più nessuna importanza: è l’ora in cui i morti si affacciano ai sogni dei vivi e la notte è piena di anime vaganti. Il ritratto di Mario stava appeso al muro, davanti allo scrittoio, ed era coperto da un velo d’ombra, ma gli occhi parevano vivi. Mario aveva vent’anni, allora, e viveva col papà che era solo perché la mamma se ne era andata da tanto tempo. Il maestro non insegnava più da almeno dieci anni alla scuola pubblica e doveva arrangiarsi con le lezioni private perché le sue idee non andavano d’accordo con quelle degli altri: ma andavano d’accordo con le idee di Mario. Così, quando Mario fu chiamato alle armi, invece di andare al distretto si diede alla montagna dove si comportò da galantuomo. E un giorno, gli “altri” glielo ammazzarono. Non gli era rimasto più che quel ritratto: aveva ripreso l’insegnamento nella scuola pubblica, ma tutti quei ragazzi, invece di fargli dimenticare Mario glielo facevano ricordare ogni minuto. E quando a scuola leggeva la lista dei nomi per l’appello e arrivava a Luigino B. La voce tremava al vecchio maestro, perché Luigino B. era figlio di uno degli “altri”; di un ex capo degli “altri”. «Ci siamo» disse sottovoce il vecchio maestro a Mario, e trasse di sotto la cartella il compito di Luigino B. Il padre di Luigino B. era in prigione, e per questo il vecchio maestro si era sempre frenato, a scuola: ma adesso avevano inventata l’amnistia e il padre di Luigino B. sarebbe uscito fra pochi giorni, anche lui come tutti gli “altri”, e non significava niente che non fosse stato lui ad ammazzargli Mario, ma erano stati gli “altri” e quello era uno degli altri, un capo degli altri. Ora niente lo tratteneva più: il vecchio maestro avrebbe bocciato Luigino B. Nessuno poteva impedirglielo. «Ci siamo» disse il vecchio maestro dopo aver appuntita con cura la matita blu. E gli occhi di Mario lo guardavano. Lesse adagio: una riga, due righe. Alla terza ebbe un piccolo grido di gioia: «“ceco!” scrive “ceco” senza la “i”. In quarta classe scrive ancora “ceco”, quando anche i bambini di seconda sanno che si scrive con la “i”!». Nell’ombra gli occhi di Mario si erano fatti attenti. Il vecchio maestro tracciò un rigone blu sotto il cieco senza i, poi riprese a leggere adagio. Di lì a poco sollevò il capo. «Mario!» esclamò. «“Un’amico!” Un amico con l’apostrofo! E poi virgola tra il soggetto e il verbo! “io” virgola “vado a scuola…”» Guardò sorridendo Mario e gli pareva che anche Mario sorridesse. Riprese a leggere e, poco dopo, allargò le braccia. «Mario» disse il vecchio maestro, «io adesso avrei il diritto di rifiutarmi di proseguire. Questo sciagurato ha scritto una frase come questa: “se io potrei andrei in campagna, ma mia mamma non può perché mio papà è in Africa”. Capisci, Mario. Se lui “potrebbe” andrebbe, ma “sua mamma” non può perché “suo papà” è in Africa. San vittore lo chiamano Africa in quella famiglia di sciagurati!» tracciò un pesante segno blu sotto tutta la riga, poi riprese a leggere spiegando di volta in volta a Mario gli errori che incontrava. Alla fine mostrò a Mario il foglio. «ecco qui» disse con una punta di gioia maligna nella voce. «sei errori rossi e sette blu! Qui il problema è uno solo: gli diamo due o tre? O vogliamo dimostrare la nostra superiorità regalandogli mezzo punto e dandogli tre e mezzo?» Era quella l’ora dei morti, e la notte era piena di fantasmi. Il silenzio li difendeva dal mondo dei vivi e l’aria era ferma. Il vecchio maestro fissava gli occhi di Mario velati dall’ombra e gli occhi parevano vivi. E anche il viso lentamente si vestiva di carne. «Due, tre, o tre e mezzo?» domandò ancora il vecchio maestro: e le parole caddero nel silenzio e il silenzio le inghiottì. «sei!» disse una voce lontana. ed era la voce di Mario. Il vecchio maestro segnò un grosso sei sul foglio e se ne andò a letto scuotendo il capo. «chi ci capisce niente?» borbottò.