Racconto di Cesare Pavese

 

Eccomi che suono alla porta e se invece di Wanda esitante e sorpresa mi aprisse una Wanda sdegnosa chiedendo che cosa voglio e se credo che basti presentarmi per metterle addosso le mani e passare una notte respirando con lei dovrei pure chinare la testa e levarmi il cappello brontolando che mi sono sbagliato.
Entro invece seguendola e tenendola al polso e fermandomi anch’io se si ferma a strusciarsi. Anche Wanda dovrebbe coprirsi la faccia e scappare a nascondersi se le chiedessi che cosa vuole da me. Ma le donne non ascoltano, e per tutta risposta fanno carezze: le ha fatte al marito quando aveva un marito e ora le fa a me mentre siedo, e mi guarda e mi tiene la mano e mi chiede con gli occhi perché sono in ritardo. Ancora non ha cercato di baciarmi.
Se non fosse una donna ma l’unico amico che è morto quel giorno, capirebbe che vengo non per farle carezze e parlarle d’amore ma soltanto per piangere. Mi guarda invece imbronciata come una figlia offesa e non pensa che aspetto soltanto che si alzi e mi lasci qui solo. Non si sa rifiutare una volta su mille e capisco perché suo marito se ne sia nauseato. Se sapesse sorridere quando siamo in un letto. Pare invece ogni volta che alla fine l’aspetti la forca e i suoi giochi non sono che lunghi sospiri, occhi pesti e singhiozzi.
A vederla mi toglie la voglia di piangere e mi viene il sospetto che sia identica a me. Se davvero è così, mi compiango davvero. Perché lei la fortuna di amarmi ce l’ha; e io non l’amo, non provo un sollievo speciale a vedermela innanzi. Ma se fossi al suo posto, sarei vivo di gioia.
Finalmente si è alzata e traversa il salotto. Posso piangere adesso. Non è già più che piangere, venire la notte da Wanda, vederla soffrire e sapere che nulla ch’io faccia le giova, perché tanto di lei non m’importa? M’importava qualcosa di Bruno?
Ora Wanda dovrebbe tornare e non torna. Sono solo con Bruno.
«Oh Wanda, ascoltami, mi sento come un cane».