Articolo di Delia Giordano

 

Quando nei libri di storia si parlerà di questi ultimi anni, si scriverà di come l’umanità sarà passata attraverso la pandemia da Covid 19, affrontando e accettando tutti i cambiamenti resi necessari per poterne finalmente uscire. Si parlerà delle vittime, dei ricoveri dell’isolamento obbligato, del distanziamento sociale, delle mascherine, dei gel igienizzanti, del coprifuoco e delle restrizioni; di famiglie divise per mesi e di anziani, lasciati soli nelle case di cura e negli ospedali. Si parlerà dei disagi economici di intere categorie e di quelli psicologici di persone fragili, di adolescenti e di bambini privati all’ improvviso della loro quotidianità come gli amici, lo sport, i parchi e altalene sigillate con il nastro adesivo. Si parlerà di una umanità chiusa in casa e in sé stessa, illusa di riscoprirsi migliore e meno egoista, di fronte ad un comune pericolo. E si scriverà dei vaccini, che giorno dopo giorno ci hanno ridato la vita che avevamo fermato, del green pass che ci ha consentiti di ritornare a viaggiare, di andare al cinema e al teatro e di tornare a lavorare in presenza ma chissà se si scriverà dei bambini nelle scuole. Di come hanno cambiato le loro abitudini, i loro gesti che prima erano così naturali, come scambiarsi una penna o una merenda o di stare vicini nell’ ora di ricreazione, seduti in tanti ad un solo banco a giocare e che ora restano ognuno al proprio pasto, posto unico, senza più compagno di banco, a parlarsi da lontano e a scriversi biglietti, di come a mensa restano distanziati a posti alternati. Chissà se si parlerà di come tengono su la mascherina anche per 8 ore di fila senza mai lamentarsi, né abbassarla e richiamando il compagno che magari ce l’ha sotto il naso, e di come hanno imparato ad alzare il tono della voce quando sono interrogati perché la mascherina rende la voce ovattata. Chissà se si scriverà di come prima di entrare in classe si mettono diligentemente in fila con le mani rivolte verso l’alto aspettando il gel che la maestra gli porge. A vederli cosi disciplinati ogni mattina ci si chiede se stiamo crescendo una generazione più matura di quella dei loro genitori o forse più fragile, sotto il peso di responsabilità troppo grandi per loro.